Marina

Lo sguardo vitreo di una fragile donna fissa un punto sulla parete. Non sono occhi che guardano un film 
d'amore dove scorrono immagini strappalacrime. Non sono sospiranti pagine di vita, osservate con nostalgia. 
È lo sguardo di una donna a cui sono stati strappati gli occhi. Marina non può confrontarsi né parlare con 
qualcuno delle sue ambizioni: le hanno tolto la voce. Polsi e piedi legati al letto le impediscono di 
indicare una semplice cosa o di cerchiare di rosso una data importante. Non può minacciare neanche con un 
dito. Osserva assente un qualcosa che non si vede e che probabilmente non c'è più. Avrebbe voluto o potuto 
dire, spiegare e raccontare, ma le hanno spento il pianto, smorzato il sorriso. È bastato applicarle degli 
elettrodi nelle tempie per tacerla. Non può urlare quando avverte dolore. Non può esprimere un'aggressività 
che avrebbe potuto dileguarsi fra le braccia di un amico. Le hanno rubato l'anima. È troppo fragile Marina, 
per vivere in un mondo ambiguo e perverso, dove le parole feriscono più dei pugnali, le mani non sempre 
accarezzano e si dà la caccia agli animali per indossarne la pelliccia. In un mondo dove l'erba puzza di 
bruciato e vengono estirpati i fiori al posto delle erbacce, non c'è posto per l'amore. Marina, piccola e 
gracile donna tradita, da tempo ha interrotto tutti i suoi rapporti sociali per dedicarsi al suo uomo. 

Un giorno si avvia verso la casa materna cercando di ottenere risposte. Una donna dall'aspetto sofferto e 
trasandato, racchiusa nelle sue umili vesti e con troppe rughe per la sua età, le apre la porta. Quanto 
dolore prova Marina nell'ascoltare le solite e insulse frasi, biascicate in maniera distratta, da una donna 
che non avrebbe mai dovuto essere madre: "Cosa vuoi che sia un tradimento!" Quanto male procurano le parole, 
quando infieriscono su ferite già sanguinanti! Convinta di essere nel torto e piena di sensi di colpa,
Marina ritorna nella sua gabbia: si accoccola accanto al suo uomo e illudendosi, si assopisce e sogna. 
Vivaci e scoppiettanti focolari, paesaggi soleggiati, fragole mature, ciliegie rosse e corbezzoli amaranto 
e poi spighe di grano ed altro. Quante sequenze di caldi colori sfilano dinanzi ai suoi occhi! Si sveglia 
e calda d'amore, spinge la sua mano sul letto vuoto. Ella sa solo amare e vuole vivere di questo, ma 
l'aridità e la cattiveria, la trasformano in un avvizzito e gracile giunco piegato dal vento. 

Ad ogni mortificazione verbale che le viene inferta, ella risponde con scuse. Ad ogni ceffone, succedono 
implorazioni di perdono. Con indosso i segni della violenza, Marina procede a lenti passi e col capo chino.
Tutto il suo amore si trasforma in paura, poi in terrore ed infine precipita nella follia. In camicia da 
notte, seduta sui gradini di casa, coi piedi bruciati dal gelo e con lo sguardo perso nel vuoto, Marina 
viene raccolta come un misero cencio dalla strada e affidata alle cure di un ospedale psichiatrico. 
Viene abbandonata lì, in mezzo a tanti corpi deprivati del loro contenuto, a vegetare. Di tante Marina, 
si riempie il mondo ogni giorno, ogni ora. Una, cento, mille donne non scappano, non si ribellano, perdono 
e troppo spesso muoiono. Muoiono per ignoranza, per gelosia, per possesso. Muoiono lapidate, perché osano 
mostrare il loro volto. Muoiono ignorando la vastità del mondo, perché costrette a guardarlo a scacchi 
attraverso un burka. Muoiono perché deturpate, infibulate e mutilate dei loro genitali. Fortunatamente, 
tante altre meravigliose donne non chiedono perdono, non si inginocchiano, non si sottomettono e lottano 
per difendere il loro diritto ad esserci, ad esistere. Combattono e quando si trovano dinanzi ad un bivio, 
decidono di percorrere la strada che le rende protagoniste della loro vita. Lottano per difendere i propri 
diritti, perché sanno che quella è la scelta giusta.
Giovanna Balsamo
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27-09-2016 Redazione Oceano Una storia, purtroppo, che si ripete ogni giorno, ogni ora, quella di Marina. Ma in questa storia c’è anche spazio per la speranza, volgendo lo sguardo alle tante donne che, lottando, conquistano i propri diritti e diventano protagoniste delle loro vite. Sono quelle le donne che devono fungere da faro per tutte le “Marina” che ancora soffrono e smettono di esistere, pur vivendo ancora.