Confessioni di un calcarighe
Corro tra i tuoi seni e sprofondo; la penna diventa casa la prima benda alle ferite. Linee sbieche, ho l’anima scavacorpi, mi inchiostro ancora le dita. Linea che diventa forza e poi seme, vento distillato che scivola in gola. Pian piano divento la mia gente nella fredda assenza delle foglie, dentro il tempo, dove ristagna la nostra anima. Mi hai marchiato col bacio più profondo, nelle vie, tra gli alberi che muovo fra le matite che si spezzano. Nell’oscurità della notte sorgo come gente, ma non posso essere se non percorro il pozzo dell’essenza. Mi sento come un cratere che sopravvive fra gli artigli di un vulcano. I versi pesano sulla mia schiena così come il passare delle stagioni; poi, cammino nella noia, ingobbito, la testa ciondoloni, le mani in tasca e il bavero del silenzio che mi copre.
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20-03-2014 | Redazione Oceano | Tirannia, esaltazione, riempirsi e svuotarsi, volare e ripiombare... Scrivere... croce e delizia. |