Un'alba |
Passata è un'altra notte, vasto Urano, e di nuovo ti macchiano d'azzurro catrame i nembi fugaci, ma d'un oro soffuso li bagna la timida nuova luce. E mentre rare favelle s'accendono sulla deserta piana di nuovo scampata alla morte spuria, iniquo compenso delle profonde stelle offuscate in cielo ma mai morte, io, sprofondato nell'infimo punto, contemplando quei neri contorni che par ti mangino il manto, d'alberi e cipressi e case tutte, smarrito nei tuoi pelaghi vo misurando il peso dell'umano travaglio, svelato da brulichio di luci e sempre a se medesimo, dentro l'immensità del profondissimo cosmo infinito. E allor scavano fiordi nella mente mia lo spazio silente e il brusio impalpabile di cosmiche e vere rivoluzioni, e i colossi sferici galleggianti nell'impensabil vòto, e mille e mille miliardi di stelle, e la polvere cosmica; ma subito ricado, e risprofondo in questa nostra terra, e di nuovo ti contamina il fumo della stanca ciminiera alla vista mia: vanamente ancor torna il penar nostro infelice e misero. Gli stremati raggi della cittade a cigolar di vano suono tornano, sull'usato e trito calle battendo il masochista piede, sulle spine dell'inane quisquilia. |