Tu Quoque...

Con la mano tocca il suo fianco,
più della lama brucia nel cuore,
vinto soltanto contro un branco, 
stramazza al suolo in un dolore.

Sotto la statua del nemico peggiore, 
per un figlio che suo figlio non era,
brutale omicida del padre migliore,
che di lui possedeva fiducia sincera. 

Giace esanime come fera ferita.
nella lotta disuso a porgere resa.
onore ai vinti risparmiava la vita. 
ora da vili nemici belva indifesa.

Nel giorno delle idi di marzo,
al generale non offusca la fama,
la congiura ne risalta lo sfarzo,
condottiero che la storia acclama. 

Solo il tempo di dire tu quoque...
tra fitti pugnali di 23 congiurati.

Giulio Cesare, il tuo nome non muore,
mentre gli altri non sono mai ricordati.
data autore commento (si può commentare solo se si è loggati)
01-11-2012 Leggerini Raffaele "Tu Quoque ..." RAFFAELE LEGGERINI
COMMENTO CRITICO di Francesco Brizioli


Nelle prossime righe analizzerò e commenterò la lirica “Tu Quoque…” del Poeta Raffaele Leggerini (seconda metà del XX secolo). La presente Poesia, che fa parte di una raccolta non ancora pubblicata, ma che io ho già avuto l’ onore di poter leggere, mi ha colpito molto, essendo a mio avviso una lode, un cantico, al più grande dux della storia romana, Gaio Giulio Cesare.
Passiamo quindi ad analizzare analiticamente la lirica. Essa è costituita da quattro quartine, più altri quattro versi finali, raggruppati però due a due. I versi sono sciolti, dato che non hanno una lunghezza fissa, ma ogni quartina è vincolata da una rima alternata (schema metrico ABAB); negli ultimi quattro versi troviamo la rima tra il secondo e il quarto, e un’assonanza tra il primo e il terzo.
Non vorrei soffermarmi sul significato di ogni verso, ma semplicemente analizzare i più belli, quelli che mi hanno colpito di più. Voglio cominciare con la seconda quartina, dal secondo. Mi ha affascinato molto in quanto troviamo scritta una frase un po’ particolare : “per suo figlio che suo figlio non era”: essa tecnicamente è da considerarsi, come figura retorica, un’antitesi. Un cosa simile, che mi è venuta in mente subito durante la lettura ce l’ abbiamo nella Divina Commedia, canto 33 del Paradiso, di dante Alighieri: “Vergine madre, / figlia del tuo figlio”. È bellissimo. In quanto il Poeta ci mette insieme due condizioni umanamente impossibili, ma con ciò, ci vuole dire che Giulio Cesare, grazie all’amore, ai valori morali, alla cosi detta pietas tanto cantata nell’Eneide virgiliana, riusciva a considerare come figlio una persona che con il suo sangue non aveva niente a che fare, ma di cui possedeva comunque grande fiducia (ci viene detto anche nell’ ultimo verso di questa quartina). Ciò non basta però a Bruto, che non a caso non viene mai nominato nella lirica, per risparmiare il padre adottivo, a causa della sete di potere. Vorrei passare alla quarta strofa, dove il Poeta, in maniera molto elegante ci dice, ed è pura realtà storica, che sia la congiura, sia questo tipo di morte, non hanno fatto altro che esaltare il nome di Cesare, ed invece sminuire quello dei congiurati: lo stesso concetto ci viene detto esplicitamente negli ultimi due versi, che secondo me sono i più belli di tutta la lirica: essi sono una vera e propria lode che comincia molto elegantemente con un vocativo. Prima di concludere vorrei fare, con un pizzico di presunzione, e non me ne voglia l’Autore, una piccola riflessione sulla penultima coppia di versi: il significato è molto chiaro, ma seguite il mio “ragionamento”.
Se noi leggessimo tra fitti pugnali senza considerare lo spazio tra le prime due parole, cosa che può accadere durante la lettura (almeno a me è accaduto) verrebbe fuori una frase di tutt’altro senso: i pugnali di 23 congiurati sono trafitti, cioè piegati, dalla gloria di colui che con gli stessi pugnali fu ucciso. Non so se questo “gioco di lettura” è voluto, ma se così fosse, davvero complimenti al Poeta!
Concludendo esprimo tutta la mia ammirazione per lo scrittore, e classificando l’opera tra quelle della corrente classica del primo Ottocento.

BELLISSIMA OPERA!!! Francesco Brizioli