Nipotine
Ecco era successo, per la prima volta quello di cui lei aveva paura, una paura, forse, esagerata, era successo. Era stata a cena dalla figlia, giocato tutta la serata con le due nipotine, 8 anni e quasi 6 anni, due bimbette veramente vivaci. Con loro era stata sul lettone della mamma a guardare quel filmato ,un misto tra film e cartone animato, quante risate quando faceva finta di preoccuparsi per la sorte dei protagonisti, la più piccola, accoccolata tra le braccia, il pollice in bocca ed il capo appoggiato sulla spalla della nonna. La più grande seduta di fianco alla nonna, si sentiva veramente adulta, spiegava ogni scena alla sua nonna, e quando lei faceva finta di non capire, la piccola le si sedeva dinanzi, la guardava negli occhi e le spiegava tutta la scena, con novizia di particolari, alla piccola brillavano gli occhi, era di aiuto alla sua nonna, si sentiva grande. A tavola la nonna si dovette sedere tra le due piccole ,come da prassi, eppure si vedevano tutti i giorni, ma avere la nonna a casa loro era una cosa speciale, e la nonna lo sapeva, per un gioco delle parti la nonna chiesa alla più grande di versarle della coca-cola, la bimba prese la bottiglia e riempì il bicchiere con diligenza, senza rovesciare nulla; poi fu il turno della piccola. Nonna: - Lea, mi versi un po’ di acqua per favore? Nipote, guardandola dritta negli occhi: - nonna ecco (toccando a turno le mani della nonna) uno e due, hai due belle mani, usale, versa da te la tua acqua... E scoppiò in una sonora risata, piccola peste, rivalersi così spudoratamente della vita usando con la nonna ciò che la mamma le diceva per insegnarle ad agire da sola. E la cena e la visita giunsero alla fine. I nonni andarono via e fu proprio fuori l’edificio che accadde quello che la nonna temeva. Il piede fece un movimento falso, come se all’improvviso poggiasse nel vuoto, non seguì il movimento naturale del passo, un dolore sordo, un calore improvviso, lei si appoggiò al muro, senza emettere neanche un lamento, e lei era fatta così, non dava mai manifestazione delle sue cose, come se dovessero rimanere un fatto solo suo, dolori, gioie, speranze, delusioni... tutto racchiuse dentro di sé. Ecco, zoppicando e appoggiata all’ombrello raggiunse l’auto; ora il marito guardandola in volto si accorse che qualcosa non andava, chiese, si meravigliò di non essersi accorto di nulla, ma lui non si era accorto mai di nulla in quei lunghi 30 anni di matrimonio, la nonna si chiedeva spesso se era stata lei abile a camuffare ? o era lui troppo distratto per capire le varie situazioni. Tornarono a casa, lei si cambiò d’abito, si stese sul divano e controllò la caviglia, era già gonfia, non poteva dire se il dolore fosse grande, aveva una soglia del dolore veramente alta, usò quello spruzzo, un vero toccasana. Sperava in cuor suo che non ci fosse nulla di rotto, il calcagno, sapeva bene, era formato da molti ossicini, sarebbe stato un bel guaio rimetterlo a posto, ma solo la pausa della notte avrebbe potuto emettere un verdetto. E la notte passò quasi tranquilla, si svegliò solo un paio di volte, qualche altro spruzzo e il nuovo giorno arrivò. Ecco la caviglia era un po’ meno gonfia, provò a muovere qualche passo, non poteva poggiare tutto il piede a terra, il dolore glielo impediva, ma poteva camminare usando solo la parte anteriore del piede; ed iniziò la sua giornata, lei era fatta così, non le piaceva pesare sugli altri, lei doveva essere autonoma, indipendente.
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