Free-lance

Lisa studiava con una lena sorprendente, voleva diventare giornalista, non sapeva ancora di preciso
le sue notizie  di cosa avrebbero trattato ma sapeva in quale mondo voleva entrare, non le interessavano
i rotocalchi, le sembravano letture superficiali, lei voleva raccontare di fatti veri, di storie di tutti
i giorni,  si, sarebbe diventata cronista e intanto si preparava studiando a più non posso. 
Finalmente la sua tesi era finita, tra meno di un mese avrebbe dato il suo esame, ormai mangiava
studiando, sempre un libro in mano, si addormentava con la luce accesa e immancabilmente l’ennesimo
libro le scivolava dalle mani.

E venne il giorno dell’esame, era emozionata, aveva paura ma doveva dare il meglio di se stessa, da quel
giorno in poi sarebbe stata l’artefice concreta della sua vita. E si laureò con 108, quei due punti e la
lode mancante la demoralizzarono un poco, ma poi pensò in fin dei conti era pur sempre una buona
valutazione, doveva lasciare il giornalino dell’università, ora doveva fare le cose per bene, doveva
incominciare a essere e a ragionare da giornalista.

Fece vari colloqui, ma non conosceva nessuno, non poteva contare su nessuna raccomandazione, c’era sempre
qualcuno più conosciuto di lei, una soluzione doveva trovare e così decise di fare la free-lance, avrebbe
scritto un articolo e lo avrebbe venduto al miglior offerente. Pensava così di potersi fare un nome, poi
di sicuro le testate giornalistiche avrebbero fatto a gare per averla tra i loro dipendenti, sì, doveva
farsi  prima un nome, doveva farsi conoscere.

E quella sera ,nella sua stanzetta pensava a quale tipo di articolo poteva scrivere, ci rifletteva su.
Di droga? Di prostituzione? Di usura? Di camorra? Era tutto così maledettamente difficile. E poi decise
Avrebbe raccontato del caporalato, ne sapeva già qualcosa, un suo conoscente faceva di questi loschi
affari, ma non poteva raccontare delle sue amicizie, si doveva inserire in quel mondo, pensò di sfruttare
quel non so che di nordico che aveva nei tratti somatici. Raccolse poche sue cose, le infilò in uno zaino,
mise la patente e la carta d’identità in un cassetto, salutò i vecchi genitori, e con pochi euro partì
alla volta della Puglia. Le avevano detto che li era molto diffuso il fenomeno del caporalato. Arrivò sul
Gargano, studiò un poco la situazione e poi iniziò la sua storia, per prima cosa doveva dormire e non
certo in un albergo come era abituata, si informò un poco in giro nel paese e seppe dove andavano a
dormire gli albanesi, ci arrivò a piedi, a notte fonda.

Subito da quelle baracche uscirono degli uomini, la guardarono, le fece finta di nulla e chiese dove 
potesse dormire, per la lingua si arrangiava, aveva avuto molti compagni di università stranieri e aveva
appreso molto delle lingue.
E si rese conto all’improvviso che stava giocando grosso, certo quegli uomini non sarebbero stati gentili
con lei, doveva stare attenta, per fortuna dall’altra baracca uscì anche una donna che le fece cenno di
avvicinarsi, gli uomini contrariati, gridarono qualcosa, si misero a ridere e tornarono nella loro baracca.
La donna la stoppò sulla porta, le domandò chi era e cosa voleva, li lavoro per altri non ce ne era, dura
nella voce, aveva le mani rugose, il volto bruciato dal sole, uno sguardo triste ma attento.

Lisa disse di chiamarsi Shega, e che aveva fame, la donna la guardò e rise, ma rise proprio forte tanto
da svegliare anche le altre che si alzarono e domandarono, e la prima donna, che si chiamava Tatuja,
prese Shega  per il  colletto  della camicia e la tirò dentro dicendo:
-dice che tiene fame, e qui viene a cercare?
 Poi rivolgendosi a Shega:-se aspetti mo’ viene il cameriere e prende l’ordinazione. 
E tutte risero, ma a Shega scendeva una lacrima (aveva sempre saputo Lisa come fare per piangere a comando)
e tutte si ammutolirono, tutte all’improvviso si ricordarono di quella fame atavica che attanagliava loro
che erano solo carne da macello, una donna le lanciò un mezzo pacco di biscotti, Tatuja le indicò un misero
giaciglio dicendole di mettersi li per quella notte, Shega ubbidì subito, si sedette a terra ed aprì il
pacco di biscotti, Dio che schifo, erano vecchi, secchi e sporchi, ma se voleva fare il suo articolo doveva
fingere, e con mano lesta portò due biscotti alla bocca, la donna vicino a lei la fermò e disse di non
mangiare veloce, i biscotti erano pochi e se lei li divorava così velocemente non avrebbe saziato la sua
fame. Doveva mangiare lentamente, solo così avrebbe avuto ragione della fame, ma da bere non c’era nulla.
Shega   mangiò i suoi biscotti si stese su quel materasso logoro e puzzolente e cercò di dormire un poco.
Fu svegliata dagli strattoni di Tatuja, Shega si strizzò gli occhi, fuori era ancora notte, Tatuja le
diceva di far presto, tra poco in piazza si sarebbero assegnati i lavori  per il nuovo giorno, Shega  si
guardò il braccio come se avesse voluto guardare l’orologio, ma lo aveva lasciato a casa, se era una povera
albanese  non poteva avere un orologio. Si alzò e imitò le altre, tentò un poco d’igiene,  ma quell’acqua
sporca non l’attirava proprio, comunque fece finta di lavarsi, chiese a una di loro dove stava il bagno,
le fu indicato ma le fu anche detto di non andarci mai da sola perché il bagno era uno anche per le baracche
degli uomini, e Tatuja l’accompagnò. Non era un bagno, ma una vera e propria latrina, un odore nauseabondo,
uno sporco da far accapponare la pelle, ma lei aveva deciso di resistere e si adeguò alla nuova vita
sognando il bagno di casa sua. 

E andò con le altre in piazza.
Le andò bene, pensava, era stata scelta, la paga era di 35 euro ma ancora doveva iniziare a lavorare, poi
arrivò un furgone e vi salirono sopra, ammassate, stipate come sardine, e il furgone partì. Arrivarono sui
campi per la raccolta delle fragole, scesero dal furgone, Tatuja capì che Shega non era pratica e le disse
di starle vicino e di fare quello che faceva lei. Tatuja le disse che se scoprivano che non era pratica non
l’avrebbero più chiamata. Era un lavoro semplice, ma la posizione spaccava la schiena a metà, e il sole,
Dio come scottava.  A metà giornata ebbero un pezzo di pane con qualche fetta di mortadella e una mela, e
una bottiglietta di acqua. Fermarsi era stato uno sbaglio, ora la schiena le faceva proprio male, ma
continuò la sua giornata di lavoro, non poteva arrendersi proprio ora.

Finita la giornata tornarono al furgone vi salirono e riportate in piazza, c’era un uomo ,Redian, che le
attendeva, le pagò, e le donne tornarono alle baracche, ma Shega  ebbe una spiacevole sorpresa, dentro la
baracca c’erano degli uomini che taglieggiarono tutte loro portando via a ciascuna 10 euro. Tatuja le disse
che sarebbero state tranquille, che non ci sarebbero stati controlli da parte dei carabinieri, che nessuno
aveva documenti, che erano arrivate con i gommoni, e che si sentivano già fortunate di poter mandare dei
soldi a casa, e poi le chiese da dove veniva e da quando tempo stava in Italia
.
Shega inventò una storia,disse che era arrivata piccola in Italia con la mamma (così aveva risolto anche
il problema della lingua), ma poi la mamma era morta ed era rimasta sola, si doveva arrangiare.
I soldi per fortuna non li doveva mandare a nessuno, sperava di mettere qualcosa da parte, di trovare un
posto come badante  e così trovare anche una casa dove vivere, ma oggi non aveva nulla, poi si informò come
si faceva per mangiare, se si doveva pagare per dormire lì e tutte le altre regole.

Tatuja le disse che per mangiare si arrangiavano, lì nella baracca non si poteva cucinare ma che le domeniche
potevano cucinare un piatto caldo nella baracca del custode perché la sua baracca era in muratura, che
pagavano 50 euro a settimana al custode per il materasso e che il custode ogni tanto portava qualcuna di
loro al bar, lui così diceva ma non era vero, le sfruttava anche sessualmente.
Shega, guardò il materasso, -cazzo-le scappò di dire:-50 euro per prendersi i pidocchi.
Shega:- e se qualcuno non lavora questa settimana?

Tatuja:- ci penserà il custode Delosh a farti lavorare, (e con voce ironica) porterà qualche suo amico, ma
non preoccuparti, ora stiamo in piena stagione, di lavoro c’è ne’e stiamo tranquille per un po’.
Shega arrivò alle baracche di martedì, lavorò con le altre tutta la settimana, aveva guadagnato circa 140
euro, meno 50 euro per evitare i controlli, 50euro per il materasso, 15 euro per poter cucinare la domenica
nella baracca di Delosh  e  a Shega restavano 35 euro. Lisa pensò che i suoi genitori le davano 50 euro di
paghetta settimanale, che la nutrivano come una regina, e che aveva un materasso veramente superbo e (non
sapeva neanche di che colore fosse il suo materasso) sapeva di pulito, sapeva di primavera. Lisa quando
viveva con i genitori, dava tutto per scontato, non immaginava neanche che potesse esistere di simili mondi.

Mentre cucinavano tutte assieme dal custode, Shega  si accorse di qualcosa di strano, Delosh  guardava con
insistenza una giovane donna  che si chiamava Donika   e che stava li con loro, il custode faceva di tutto
per starle  vicino, le  si strusciava vicino ed inutili erano le manovre di Donika  di allontanarsi;mangiarono
poi il custode si alzò prese la mano di Donika  e con forza la trascinò fuori. Shega si alzò di
scatto, voleva fermare il custode ma Tatuja la trattenne, le disse di tornare a sedere, che lì così si faceva 
e che Donika era una sciocca, poteva sfruttare meglio la bellezza del suo corpo, e fare una vita migliore.
La sentirono gridare, pregare, chiedere aiuto, e Shega non poté più stare seduta, corse fuori e si diresse 
verso le grida, ma arrivò tardi. C’era solo Donika  in terra, tra la vegetazione, che singhiozzava,un labbro 
perdeva sangue, la maglietta strappata.
Donika  si tirava giù la gonnella, girava la faccia verso la terra, aveva vergogna di ciò che le era successo,
poi arrivarono gli uomini correndo, Donika  era la fidanzata di uno di loro, Audar, così si chiamava il 
fidanzato ,le si chinò vicino, cercò di consolarla, anche lui le tirava giù la gonnella per coprirle le 
cosce, ma quella era la misura della sua gonna, non c’era più stoffa da tirare.
Tatuja e le altre aiutarono Donika ad alzarsi e Shega dimentica di dove fosse e di chi era in quel posto,
gridò:- bisogna chiamare i carabinieri, tutte abbiamo visto, deve pagare. Poi realizzò e tacque, borbottò una 
specie di scusa ed entrò nella baracca, si gettò sul suo materasso e pianse fino a che non prese sonno.
Fu svegliata all’improvviso in malo modo, qualcuno le stava dando dei calci, poi fu afferrata per i capelli 
e strattonata, fu picchiata selvaggiamente, tirata fuori dalla baracca, colpita di nuovo, le pareva di morire,
e fu lasciata agonizzante a terra.

Dopo le amiche di sventura la raccolsero, la riportarono dentro, la adagiarono sul materasso e non potettero 
fare più nulla per lei. Il giorno dopo Shega non andò a lavorare e fu così per altri tre giorni e aveva finito 
i soldi. Il giorno ancora dopo il custode ridendo entrò nella baracca, prese Shega per un braccio e la trascinò 
dolorante fuori, la fece salire sul furgone e partì. Shega  aveva paura, pensava che sarebbe stata uccisa, 
malediva il giorno che aveva pensato di fare la giornalista, ma quel giorno per lei, nella sua vita, non era 
stata scritta la parola fine
. 
Fu portata lontano e gettata fuori dal furgone, non seppe quando tempo rimase lì a terra, passò una pattuglia 
dei carabinieri che chiamò un’autoambulanza, dissero alla radio:- la solita sventurata di turno, forse 
un’albanese, è stata picchiata ed è in evidente stato di shock.
In ospedale le riscontrarono ematomi vari per tutto il corpo, era stata pestata per benino ma per fortuna 
nessun danno grave; le chiedevano chi era, come si chiamava, da dove veniva; lei diceva solo di chiamarsi 
Shega.
Stette in uno stato confusionario per una decina di giorni, quando i carabinieri la interrogavano diceva 
sempre che era tutto buio nella sua testa, ricordava solo un uomo che la picchiava. Non era vero, lei aveva 
ben chiari i fatti nella sua mente ma doveva recuperare le forze e poi doveva essere lei a scrivere la sua 
storia, fu chiamata “la smemorata di Candela” il paesino, dove, era stata trovata, e venne il tempo della 
dimissione, ora doveva parlare ma sarebbe stata cauta, non voleva che altri scrivessero della sua storia.
Dal piantone fece chiamare il superiore e quando questi fu nella camera lo pregò di chiudere la porta e gli 
raccontò tutto, seppe così che i carabinieri da tempo stavano sulle tracce di quel custode  ma non avevano 
ancora trovato il campo delle baracche. Le fu chiesto se lei ricordasse il posto, le chiesero se era disposta 
ad aiutarli, a tornare nelle baracche, a lavorare di nuovo sotto caporalato e di permettere così un’azione 
di polizia che permettesse la bonifica di tutta la zona da quel fenomeno d’illegalità. Non doveva rispondere 
subito, bastava per il momento che ci riflettesse su.

Lisa pensò che sarebbe stato un buon affare per lei, avrebbe potuto scrivere un bellissimo articolo, con 
un finale  eccezionale visto l’intervento della polizia. Dio non avrebbe mai pensato che la sua vita prendesse 
una simile svolta.  Fu portata in caserma, dove stette due giorni, fu istruita su come comportarsi, le fu 
messo un piercing sul lobo dell‘orecchio che nascondeva un trasmettitore, le furono mostrate alcune tattiche 
che poteva cercare di usare se fosse stata aggredita, ma le dissero di non preoccuparsi perché loro sarebbero 
intervenuti subito (sempre che il trasmettitore funzionasse bene) e fu riportata all’ospedale da dove lei 
doveva far finta di scappare per rendere la storia credibile e non far nascere dubbi.
Shega scappò dall’ospedale, con l’autostop si recò di nuovo al paese dove venivano dirottati i lavoratori 
stranieri, vi arrivò verso le 17, si sedette sul ciglio del marciapiede ed aspettò, si fecero le 18, arrivò 
il furgone, vi scesero tutte le donne ed il furgone ripartì per recuperare gli uomini, Tatuja la vide, Shega
fece la mossa di abbracciarla ma Tatuja la allontanò, e le chiese con la sua solita  voce  dura:
-cosa ci fai qua, vuoi forse essere ammazzata?.
Shega:- non so dove andare, non ho nessuno, chiederò scusa al custode, non mi può lasciare così, non ho un 
soldo, lavorerò sodo, non mi lamenterò più.
Tatuja:-  se fossi in te andrei via, quello non scherza.
Shega:-  gli propongo una quota più alta, gli darò più soldi.
Tatuja:-  sta attenta, quello sa come fare soldi con te.

E tutte tornarono al campo, Shega si diresse verso il casolare del custode, vi entrò ma subito fece un passo 
indietro. Delosh come la vide schizzò dalla sua lurida poltrona, e le si stava avvinghiando addosso quando 
alzando lo sguardo vide tutte le donne che si erano chiuse a cerchio attorno a Shega.
Delosh sapeva quando era il momento di agire e quando gli conveniva fare finta di niente, pensò che se 
quelle donne lo assalivano tutte insieme di lui non sarebbe rimasto molto, e si fermò facendo finta di 
studiare la situazione.
Shega:-  no, no scusatemi, io non volevo, sono stata una sciocca, vi prego dimenticate la mia fesseria, 
lasciatemi lavorare ancora qua, io vi darò il doppio della mia quota, ma non mi mandate via, non so dove 
andare, non ho nessuno e ho fame, ho veramente tanta fame, farò quello che vuoi ma non mi mandare via.
Il custode:- ah,  stanno così le cose? dunque hai bisogno anche tu di mangiare? mi daresti il doppio? Da 
te ne voglio 50, se ti sta bene, resta, altrimenti vai a rompere i coglioni da un’altra parte.
Il custode le si avvicinò, le afferrò i capelli e tenendoli stretti disse:- Ma se resti devi fare la brava, 
e fare  tutto quello che ti si dice e non guardare mai quello che succede.
Shega  fece cenno di si col capo
Il custode le lasciò i capelli dandole in contemporanea uno spintone facendola cadere a terra.
Shega  non disse nulla, il capo chino, gli occhi che guardavano il terreno, strisciando a carponi si 
allontanò da lì, poi si rialzò, sputò a terra come un inutile gesto di ribellione, si passò il polso 
sulla bocca  per asciugare la saliva che le era rimasta sulle labbra ed entrò nella baracca.
E  Shega  riuscì a rimanere nel campo. 
Tatuja  le si avvicinò con un tozzo di pane secco, glielo porse dicendole :-  mangia, ma che ti è saltato 
in mente, quello te la farà pagare cara, deve mantenere il controllo di noi tutte, se mostra pietà per lui 
è finita e poi non è uomo di pietà , vedrai ti succederà la stessa cosa di Donika, sta attenta. E poi le 
raccontò la sua storia,Tatuja aveva bisogno di raccontare la sua angoscia, da troppo tempo si teneva  
tutto dentro, raccontò che lei era stata strappata dalla sua vita appena 14’enne, introdotta in Francia, 
picchiata, violata, umiliata e avviata alla prostituzione.  Disse che più di una volta aveva desiderato 
morire per non soffrire più, aveva visto cose terribili, e mai aveva potuto stendere una mano per aiutare 
delle altre povere sfortunate e poi quando il suo corpo ormai non era più buono per guadagnare fu usata 
come produttrice di bambini, quanti ne aveva portato in grembo, quanti le erano stati strappati dalle 
braccia, darebbe la sua vita per rivedere anche uno solo dei suoi figli, ma non sapeva nulla di loro, 
lei doveva solo metterli al mondo come un animale, non chiedeva perdono al buon Dio di ciò perché lei 
non ne aveva colpa, ma in quei terribili momenti di parto sperava di morire, sperava che qualcosa andasse
male e che le sue sofferenze morali finissero così e quando poi il suo corpo non potette più generare vita 
fu gettata via come si fa per un sacco di immondizia e questo fu la sua libertà. Certo non aveva niente, 
ma era libera, cercava solo di sopravvivere fin quando riusciva a mangiare ma se la morte avesse bussato 
alla sua porta sarebbe stata lieta di seguirla.
E questa volta la sua voce non era dura, ma aveva qualcosa di umano, qualcosa di buono.

E di nuovo Shega pensò al suo mondo ovattato, a come era stata fortunata a nascere dalla parte tranquilla 
dell’universo, non aveva mai potuto immaginare di simili crudeltà, a lei un buon voto sul libretto 
universitario rappresentava tutto il cosmo e invece c’era un altro mondo dentro il mondo dorato che lei 
conosceva.
Tatuja le chiese cosa era successo nel frattempo e Shega raccontò del furgone, di come non avesse parlato 
con la polizia, di come era riuscita a scappare dall’ospedale.
Il giorno dopo andarono tutte in piazza aspettando il Redian, arrivò il furgone e il caporale quando la
vide disse:- ancora qua tu, non ti è bastata, sei pronta per un’altra dose?.
Shega  non rispose, si avvicinò al caporale, si inginocchiò gli baciò gli scarponi, alzò il viso e disse: 
ti prego, fammi lavorare, ho fame.
Il caporale: bene, bene, sei una ragazza intelligente, quando ti sarai ripresa un po’,dobbiamo chiacchierare 
noi due, (e nel frattempo le passava la mano sul di dietro),va. Sali che oggi c’è lavoro anche per te>>. 
Rise di un riso cattivo,maligno.
Arrivate sul campo, Shega si accorse che le fragole erano quasi finite, un brivido di terrore le attraversò 
la schiena, deglutì l’eccesso di saliva e iniziò la raccolta. Forse un’altra settimana di lavoro, poi si 
cambiava campo, e così passò tutta la settimana, ma ogni volta che tornavano alle baracche c’era sempre il 
custode nei paraggi e il giorno dopo sarebbe stata domenica e Shega  tremava solo al pensiero.
 
 E venne la domenica, il Delosh disse di fare un piatto in più, lui aveva ospiti e guardando Shega si mise 
a ridere. Il suo ospite era il caporale. Fu cucinato, mangiarono tutte, furono puliti i piatti e poi il 
custode e il caporale si misero ai due lati della porta, il caporale tirò fuori un coltello da cacciatore 
e faceva finta di pulirsi le unghie, le donne capirono subito quel che doveva accadere, si guardarono, 
qualcuna aveva una lacrima, ma in silenzio si avviarono verso l’uscita come in una processione religiosa, 
lentamente ognuno oltrepassò la porta.
Shega  aveva visto tutto, rimase in fondo alla casupola impietrita, poi si decise e con le gambe che le 
tremavano si avvicinò anche lei verso l’uscita, era quasi fuori quando il caporale allungò il braccio 
sullo stipite  della porta chiudendo il passaggio, e disse:-  no, tu rimani un po’ qua, facci compagnia, 
ci sentiamo soli, abbiamo bisogno dell’affetto di una donna.
E nel frattempo il caporale sbatteva la porta,  Shega si ritrovò sola nella casupola con i due uomini, 
ebbe paura come non ne aveva mai provato, non sapeva se il trasmettitore funzionasse, non sapeva se i 
carabinieri fossero  veloci nell’arrivare  in tempo e intanto indietreggiava, si ritrovò con le spalle al 
muro, il caporale maneggiava il suo coltello dicendo: - fai la brava, ti divertirai pure tu, vedrai sarà 
bello  e ridacchiava. All’improvviso Shega si ritrovò con la schiena a terra, le braccia bloccate, il caporale 
a carponi su di lei, le infilò il coltello sotto alla maglietta all’altezza della vita e tagliò la maglia. 
Shega  emise un urlo, gridò con quanto fiato teneva in bocca, ma le misero la mano sulla bocca e poi 
all’improvviso la porta della baracca cadde divelta da una spallata e si sentì dire:- fermi tutti polizia.

La baracca fu presto piena di agenti che di più non ne poteva contenere, i due uomini bloccati a terra, 
con la faccia schiacciata verso il pavimento, un ufficiale porse una giacca a Shega  che, grata, la 
infilò subito, uscita fuori dalla baracca vide tutte le sue compagne raggruppate, gli agenti stavano 
controllando i documenti, c’erano varie camionette, Shega  fu fatta salire su una macchina che si 
allontanò a sirene spiegate, le sue povere compagne di sventura non capivano perché lei da sola su 
una macchina e no sulle camionette; fu chiesto a Shega  se voleva andare in ospedale, lei rispose di 
no, che in fin dei conti loro erano arrivati in tempo e dunque la pattuglia si avviò verso la caserma.
 Shega  chiese un registratore mentre raccontava, e il suo racconto fu carico di particolari, nel 
frattempo l’azione di polizia continuava, furono arrestati anche i proprietari del campo, ed alcuno 
fiancheggiatori. Shega  ebbe un resoconto di tutta azione anche di  quello a cui lei non aveva assistito.
Completate tutte le procedure Lisa fu accompagnata a casa sua, bussò il citofono e la mamma rispose.
Lisa:-  mamma aprimi, ti prego non mi lasciare un altro minuto in strada.

La mamma apri il cancello, Lisa si assicurò di averlo chiuso bene e fece le scale di casa sua con una 
velocità incredibile, abbracciò i suoi genitori che, da tempo, non avevano sue notizie, andò in cucina, 
aprì con rabbia il suo frigo, si versò una tazza di latte, prese dalla credenza il suo pacco di biscotti 
preferito, lo aprì e tirava fuori lentamente un biscotto alla volta, con fare lento, parsimonioso, li 
inzuppava nel latte e li portava alla bocca, ogni tanto diceva:-  Come sono freschi, e che buon profumo 
hanno, grazie mamma.
La mamma la guardava stupita, incredula, meravigliata e poi guardandola bene, con quella giacca da 
carabiniere, la maglia tagliata di netto, le si avvicinò, le accarezzò il capo e disse:-  Dimmi figlia 
mia ma cosa ti è successo?  Dove sei stata tutto questo tempo? stai bene?. 
Lisa:-  mamma, aspetta che faccia una doccia poi vi racconterò tutto, non ti preoccupare, sto bene ora, 
e non è successo niente. 
Si alzò, andò nel bagno, lo guardò in ogni suo lato, come lo teneva pulito e lustro la sua mamma; aprì 
il rubinetto, regolò la temperatura, lasciò cadere quegli abiti sunti e logori e stette un tempo 
immemorabile sotto il getto di acqua, come se avesse voluto cancellare tutte le brutture che aveva 
visto e vissuto.
Poi si asciugò, si vesti con abiti puliti e profumati e raggiunse i genitori sul divano, e come un 
fiume in piena raccontò tutto, dalla difficoltà di trovare un lavoro, alla sua idea, alle paure vissute, 
alla fame subita fino all’arrivo dei carabinieri
I suoi genitori l’ascoltavano sbalorditi, increduli e loro la sapevano  a Milano per lavoro, si erano 
anche lamentati credendola una figlia ingrata perché non aveva mai telefonato ma ora che il racconto 
era finito la guardavano come un’eroina che stava dando, con tenacia, una svolta alla propria vita, 
pensarono che le piacesse proprio quel lavoro se era stata capace di creare una  simile storia e correre 
di simili pericoli.
E per una settimana Lisa scrisse, corresse, cancellò, riscrisse fin quando il suo articolo non le 
sembrò interessante, veritiero, scorrevole, leggibile, copiò tutto su due cd e ne affidò una copia al 
comandante Rossi. Passarono qualche giorno, ebbe una telefonata dal capitano Rossi che le annunciava 
delle novità ed un appuntamento importante a cui non poteva mancare, infatti le aveva promesso di 
presentarla ad un direttore famoso , non sapeva quale ma sapeva di potersi  fidare di Rossi.  Lui 
aveva buttato giù la porta della baracca, lui le aveva liberato le braccia dalla presa del caporale, 
lui le aveva dato la sua giacca. Verso le 16 arrivò il comandante, il tempo di presentarlo ai suoi 
genitori e andarono. 
Arrivarono al giornale, parcheggiarono, scesero dalla macchina e Lisa alzò lo sguardo verso il 
palazzo davanti a lei, restò senza parole, stava davanti alla sede di una delle testate più importanti 
del paese, lei guardò il suo comandante, guardò di nuovo quell’insegna, caratteri cubitali, enormi, 
famosi, Lisa abbassò di nuovo lo sguardo verso il comandante balbettando:-  ma non mi aveva detto 
che erano loro, sono troppo in alto per me, non so se posso farcela.
Rossi porgendole il braccio disse:- per una donna che ha saputo mettersi in gioco come hai fatto tu, 
nessuna testata è tanto importante da non provarci, vieni entriamo.
E mentre entravano i pensieri di Lisa volavano alti, si sentiva un granellino di sabbia in una 
clessidra enorme, però man a mano che si inoltravano per quegli uffici si sentiva sempre più grande; 
infatti la sua fama le stava facendo strada, qualcuno già aveva parlato di lei, guardò il suo bel 
capitano e domandò:
- Ma già sanno? chi li ha avvertiti? Sicuro che resteranno soddisfatti? E se la storia non piace?
Rossi si bloccò facendola fermare, le si piantò davanti, le mise le mani sulle  sue braccia come 
se la volesse scuotere e disse:-ma ti rendi conto di quello che hai portato avanti? Quante domande 
fai, sei stata veramente brava ed io sono orgoglioso di te, anzi … e si fermò.
Lisa avrebbe voluto chiedere:- anzi cosa? Ma da un ufficio in fondo al corridoio furono chiamati:- 
alla buonora, vi stiamo aspettando, non fatevi più attendere.
Rossi e Lisa entrarono in quell’ufficio, cerano tante persone, alcune Lisa le aveva viste in  tv, 
visi noti, gente che contava nel mondo del giornalismo e si domandò cosa ci facesse lei la, aveva 
paura che il sogno finisse e che si ritrovasse veramente a raccogliere fragole ma non ebbe il tempo 
di preoccuparsi più di tanto, ci fu un lungo e caldo applauso, Lisa era frastornata, incredula si 
aggrappò al braccio del suo accompagnatore, il quale  mise la mano sul braccio di lei in una posa 
di rassicurazione.
Si accomodarono tutti attorno a quella tavola enorme, Lisa fu fatta sedere a sinistra di quello che 
pareva il presidente, le fu messo un contratto innanzi e le fu chiesto di leggerlo. 
Era un contratto di assunzione, le davano 4000 euro di stipendio, tredicesima, ferie pagate nei più 
esclusivi alberghi del mondo, ed un  uno ufficio tutto suo ed ancora una segretaria personale.
Lisa guardò il capitano Rossi poi rilesse il contratto e quando rialzò gli occhi vide che Rossi le 
porgeva una penna, la prese e tremante pose la sua firma. 
Ci fu un altro applauso e le congratulazioni di tutti, voci di ben venuto e a Lisa le girava la 
testa, tutto insieme, tutto in una volta, ora ci mancava solo Rossi alle sue vittorie e sarebbe 
stata veramente felice.
 
Ci furono i brindisi, tutte le varie presentazioni e poi il capitano disse:-signori non vi pare 
che è troppo in una volta, lasciamo che la signorina realizzi e si goda questi momenti tra i suoi 
cari al calore della sua casa. 
Ci furono i saluti e Rossi e Lisa si avviarono all’ascensore, schiacciarono il pulsante, si 
aprirono le porte e loro entrarono, l’ascensore incominciò a scendere e Rossi ,guardandola disse:-anzi?
Lisa ripetè con un fil di voce:-Si, anzi cosa vuol dire?.
Rossi o meglio Francesco la strinse tra le sue braccia e dicendo anzi avvicinò le sue labbra a 
quelle di lei, lei lo lasciò fare, fiduciosa e compiaciuta. L’ascensore nel frattempo era arrivata 
al piano terra, si aprirono le porte per Lisa su una nuova vita, su un nuovo mondo.
Fece di più Lisa, cercò di Tatuja al suo capitano, la fece rintracciare.
 
E le due donne s’incontrarono, si abbracciarono si soppesarono, l’una pulita, fresca ,riposata, 
sicura, affermata e l’altra sporca, cupa in viso, provata, insicura.
Lisa propose alla sua amica un lavoro dignitoso, una paga sicura, le propose di fare da badante 
ai suoi genitori, lei si sarebbe dovuta spostare spesso per lavoro e i suoi genitori erano vecchi, 
sapere che stavano con qualcuno fidato le dava tranquillità, non era pietà la sua ma solo la voglia 
di aiutare un’amica che le era stata vicino. 
Tatuja accettò, furono preparati tutti i permessi e anche per Tatuja incominciò una vita tranquilla.
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