Nel mondo di Drao
Cleo aveva ereditato il villino della zia, non lo voleva, non sarebbe andata a vivere in quella città lontana, sempre immersa nella nebbia; una foschia strana avvolgeva quella rupe e Cleo ne aveva avuto sempre timore. Un’inquietudine s’impossessava di lei appena girava la curva del bosco, lei la chiamava la curva del non ritorno. La zia le aveva detto di farla sempre correndo, di non sostare mai per quel bosco, e di non fare mai il bagno nel lago proprio al centro. Ecco la curva. Memore del consiglio della zia, Cleo pigiò sull’acceleratore, imboccò la maledetta curva, la velocità era eccessiva, una buca improvvisa fece sobbalzare l’auto che fece un terribile testa-coda. Cleo perse il controllo, sbatté il capo sul lunotto anteriore e perse i sensi, l’auto continuò la sua folle corsa arenandosi sulla battigia del lago, ma l’arenile era morbido, franoso e l’auto continuò il suo moto, questa volta lento ed inesorabile. L’acqua iniziò a salire all’interno dell’auto, coprì dapprima le gambe di Cleo, poi la vita e l’acqua salì fino al collo, e continuò su per il mento e riempì la sua bocca. Un colpo di tosse le fece riprendere i sensi. In un attimo rivide la sua vita come in una moviola, cercò di sganciare la cintura, ma i suoi movimenti erano bloccati, non riusciva a capire, era come se qualcuno la tenesse impedendole di agire. Si guardò intorno, l’acqua era sempre più ad altezza del naso. Un senso di vuoto ormai le costringeva il petto, gli occhi cercavano disperati una soluzione quando il suo viso s’immobilizzò sull’immagine riflessa nello specchietto retrovisore. Un essere strano sogghignava dietro di lei, aveva una dentatura affilata da far paura, un naso schiacciato con la punta rivolta all’insù, due occhi neri come la pece, sopracciglia folte e irsute, orecchie piccole e appuntite e la mano sull’aggancio della cintura in modo che Cleo non potesse sganciarla. L’acqua, ormai, aveva riempito l’abitacolo, la giovane boccheggiava già, un ultimo pensiero alla vita sua, così veloce nell’essere vissuta e stava accomiatandosi da questa quando una serie di scossoni travolse l’auto. L’acqua iniziò a defluire, l’essere fu preso dal panico, urlava ed emanava un odore sgradevole, pareva impazzito, lasciò l’auto attraverso il finestrino aperto. Cleo capì che di acqua ormai non ce n’era più in macchina, si sentiva dondolare, la testa le girava, cercò di richiamare a se i suoi pensieri; diede uno sguardo fuori il finestrino. Non credeva ai suoi occhi, la macchina stava volando, no, non poteva essere, forse il colpo alla fronte la faceva delirare; eppure i suoi capelli erano tirati all’indietro come da folata di vento impetuoso, ed erano asciutti, quando un attimo prima erano immersi in acqua. Si guardò intorno. Che pomeriggio strano! Finalmente scorse gli artigli conficcati nel tettuccio della sua auto; Dio, ma quale bestia poteva avere simili artigli e forza così possente da sollevare la sua auto. No, doveva essere solo un’allucinazione, di sicuro aveva una commozione cerebrale; eppure era vivida la sensazione di movimento, a gran velocità fluttuava nell’aria con planate da mozzafiato. La bestia ora sorvolava la cima della montagna in ampi giri, che scemavano di ampiezza fino a planare dolcemente, lasciando l’auto in una radura proprio lì su quella cima. Poi la bestia si appollaiò di fianco all’auto; finalmente Cleo poté vedere di che si trattava. Muta, restò per un tempo lungo, la gola arsa dalla paura, la testa dolente, le mani bloccate su un volante ormai inutile. La bestia sbuffò aria dalle narici, un potente soffio caldo si liberò nell’aria e raffreddandosi scese giù per il pendio, alimentando la dannata nebbia. La bestia scosse il capo con una sequenza elegante di dondolio del lungo collo. Cleo sapeva di dover aver paura, ma proprio non ci riusciva, come se quella bestia enorme fosse nata da una sua costola. Lentamente la ragazza aprì la portiera, ma era incastrata, lei aveva poche forze, e il drago si alzò in tutta la sua mole. Uno splendido esemplare di drago, fiero e possente, si avvicinò all’auto, con delicatezza afferrò la portiera con i suoi artigli e la divelse, Cleo lo guardava, poi, lentamente, uscì dalla sua macchina, la testa le doleva, aveva un senso di capogiro. Barcollò e il drago, quasi a esaudire ogni sua esigenza, le offrì il suo lungo muso come sostegno. Ora Cleo si poté guardare intorno, c’era un popolo attorno a lei e altri draghi, ma quello vicino a lei era il più grande in assoluto, il più maestoso. Dal popolo si staccò un drappello di persone dirette verso di lei, ognuno con qualcos in mano. In un attimo fu allestita come una tenda di prima accoglienza, Cleo fu fatta sedere su un divanetto lettiga, fu ristorata, un cerotto decorava la sua fronte. Si ritrovò in mano un bicchierone contenente un liquido di uno strano colore celeste, con fettine di limone verde; la persona, che le aveva ripulita e bendata la ferita, sospingeva sotto il bicchiere incoraggiandola a bere. Cleo portò il bicchiere alle labbra, un piccolo sorso, quell’intruglio era buono, sapeva di ricordi lontani, di coccole e soffici carezze. Cleo scosse il capo, non poteva essere, che diamine di gusti le venivano in mente, ma l’uomo la incoraggiava a tracannare tutta la bevanda e, di nuovo, Cleo portò il bicchiere alle labbra e bevve. Un applauso si levò dal popolo e Cleo sentì una improvvisa forza nuova scorrerle nelle vene; ora che aveva riacquistato le sue energie, fu invitata a seguire l’anziano del paese verso il castello. Cleo camminava su un ponte sospeso; due ali di popolo accompagnavano il suo cammino, arrivò nel primo cortile, lo attraversò fino al secondo, alla fine la scalinata di marmo immetteva nei saloni del castello, proprio nell’entrata c’erano due scale opposte che portavano allo stesso ballatoio, tra le due scale un arazzo copriva tutta la parete: vi erano dipinti il re e la regina. Cleo si bloccò: la regina aveva il suo volto. Troppe emozioni, quel giorno, per la povera Cleo, che svenne. Si riprese, adagiata su un letto principesco, in una stanza da favola, delle fanciulle la accudivano, poi entrò un uomo alto, avanti negli anni, aveva nel portamento un fare rigido, militaresco; sedette sulla sponda del letto, prese la mano di Cleo e iniziò il suo racconto: «Mia cara principessa, siamo diventate delicate giù, nel mondo degli umani; sei una principessa e devi riprendere il tuo posto, il popolo ha bisogno di te. Il nostro sovrano, tuo padre, è morto, ucciso dal veleno dei Rattip, quegli esseri immondi che stavano ghermendo anche te. I loro artigli sono carichi di un veleno mortale per noi, i nostri studiosi hanno trovato un antidoto, ma quella mattina maledetta tuo padre non ebbe il tempo di assumere la sua dose, l’intruglio che hai bevuto ieri l’altro». Presa da un senso d’inquietudine, di paura e di stordimento, Cleo si tirò indietro, ma la spalliera del letto la fermò il suo moto. Indispettito e divertito insieme, il generale si alzò e, rivolto a lei, disse: «Principessa, si vesta, faccia colazione e poi scenda in cortile. Deve imparare i primi rudimenti dell’arte della guerra. Ha poco tempo, i Rattip si preparano all’attacco finale, dobbiamo essere pronti e fermarli, altrimenti la Cattiveria diventerà la padrona assoluta: guerre e distruzioni, carestie e pestilenze saranno i nuovi padroni del mondo». Il generale voltò le spalle e uscì dalla stanza. Cleo portò le mani al viso per nascondere una lacrima. Una delle fanciulle presenti sussurrò: «Maestà, ce la farete, nelle vostre vene scorre sangue di drago, non dimenticatelo». La giovane rispose: «Ma io sono solo Cleo, nata a Baltimora, 22 anni fa; non c’entro nulla con i vostri regnanti, con guerre e Rattip…». La fanciulla continuò, suggerendole di vestirsi in fretta, così l’avrebbe condotta dalla vecchia balia. Questa le avrebbe parlato della madre, del padre, di quando era nata e del tempo in cui aveva vissuto in quel luogo. «Davvero non vi ricordate di noi?». Cleo si vestì subito e pensò che gli abiti erano curiosi, parevano un costume per la notte di Halloween, come quello di Peter Pan, c’era anche lo spadino. Preoccupata, si guardò allo specchio, beh, quell’immagine riflessa, come un flash-back le riportò alcuni ricordi di quando era molto piccola: stava su un’altalena e una donna la spingeva. Pensò a sua madre, ma lei conosceva bene il viso della sua mamma, la sua mamma l’aspettava a Baltimora. Era pronta, seguì, docile, la fanciulla per i corridoi e le stanze di quell’enorme castello dalle moltissime sale. Cleo rallentò, mentre attraversavano la sala del trono. Le faceva un certo effetto, sentiva che già ci era stata, come un dolce ricordo. Soffici meringhe e risate chiassose le attraversavano la mente. Ma arrivarono dinanzi ad una porta, dove un cartello indicava “nursery”. La fanciulla, che l’accompagnava, le aprì la porta e la esortò a entrare, visto che era tardi e non potevano perdere tempo. Un tonfo al cuore la scosse come un dardo a tradimento. Cleo rivide quel viso che la spingeva sull’altalena, la sua amica tata e, all’improvviso, rivide tutta la sua infanzia. La vecchia donna, dal viso rugoso come il tronco di un albero secolare, e uno sguardo ancora di giovinetta, era lì; stese le braccia la vecchia tata, e Cleo corse tra le sue braccia, inginocchiandosi davanti a lei, abbracciandola come naufrago aggrappato al suo scoglio. I primi singhiozzi, poi Cleo appoggiò il capo su quelle ginocchia stanche, la tata le accarezzò i capelli come faceva quando era piccola, correva a rifugiarsi tra le sue braccia dopo l’ennesima marachella. Cleo alzò il viso e la vecchia tata, come sempre, le asciugò gli occhi, poi le parlò con la sua voce, ancora melodiosa nonostante gli anni: «Bambina mia, ricordi ora?». «Sì, tata, ricordo. Ci attaccarono, i Rattip ti ferirono, quanto sangue avevi addosso, mi gettasti di sotto. Dio, quando ti ho odiato, quando ho pianto, ma mi stavi salvando… Ora ricordo e capisco il tuo gesto». La vecchia tata aggiunse: «Quello di gettarti giù, nel mondo degli uomini era l’unico modo per salvarti. I Rattip, durante i combattimenti, non possono scendere a valle, sono inghiottiti dalla nebbia. Per questo ti lanciai giù. Quella fu una notte terribile, tua madre fu ferita molte volte, il veleno nel suo corpo fu troppo: morì quella notte stessa. Il tuo papà stette male per molti anni, in una notte aveva perso moglie e figlia, poi fosti ritrovata dalle nostre guardie. Una brava donna ti aveva raccolta e ti cresceva come figlia amata. Fu deciso, per la tua sicurezza di lasciarti con quella famiglia; ora, però, il regno è rimasto senza condottiero, devi riprendere il tuo posto, ti devi allenare. Il tempo è breve, ma il nostro generale saprà allenarti, è il tuo padrino, è un po’ burbero, ma sa il suo mestiere. Ascoltalo con attenzione, il regno è in pericolo, la terra è in pericolo». In quel mentre si aprì la porta, il generale, in preda ad un evidente nervosismo esclamò: «Lo sapevo che solo qui poteva stare Sua Altezza. Basta con le lacrime, è tempo di battaglie!». Cleo seguì docile il generale, arrivarono in un cortile attrezzato per gli allenamenti con strane apparecchiature, Cleo doveva imparare a schivare le terribili prese dei Rattip e il loro veleno. I Rattip avevano la ghiandola velenifera posta nella spalla destra e, con l’unghia del dito medio destro, graffiando il nemico, instillavano il potente veleno; bastavano appena 3 o 4 graffi per uccidere. Cleo doveva imparare anche l’attacco, a colpirli alla spalla destra; era l’unico punto per ucciderli, colpirli al cuore sarebbe stato inutile. Furono giorni estenuanti, allenamenti continui; anche nel cuore della notte Cleo era svegliata e condotta nel cortile, doveva saper combattere anche al buio, riconoscere nell’oscurità l’amico dal nemico. Finalmente riuscì a fare sue le tecniche di attacco, non era ancora un’esperta, ma aveva sangue di drago nelle vene, apprendeva in fretta. La sera cenava con la vecchia tata, che le raccontava la storia del suo mondo e l’intreccio con i draghi, seppe così che ci era stata una terribile battaglia molti anni addietro. Suo padre era adolescente quando cadde in una trappola, il suo corpo fu graffiato molte volte, la paralisi lo stava divorando quando il saggio del regno invocò il grande drago. Solo il suo sangue poteva ridare la vita al giovane discendente, e il drago sacrificò una scaglia del suo dorso per donare il suo sangue, accorciando così la sua stessa vita. Con quella ferita sul suo dorso stipulava un patto di alleanza tra i due popoli, quello degli umani e quello dei draghi, da sempre in lotta contro i Rattip. Era passata ormai una settimana da quando Cleo era rientrata nel suo mondo antico, che già era trasformata, aveva ora un passo deciso e guerriero, teneva il capo alto e uno sguardo fiero di chi sfida il mondo, gli occhi castani, scurissimi, erano attenti e vigili, i lunghi capelli portati in un’unica treccia alla base della nuca, non dovevano creare ostacolo nel combattimento, un naso, beh il suo naso non era piccolino. Cleo aveva un naso importante, che in passato le aveva creato problemi, pareva grosso, ma ora s’addiceva al viso di una guerriera, ora era il naso giusto. Le labbra erano ben marcate, di un vivido color rosso. Aveva imparato anche a cavalcare il suo drago, lo stesso drago che aveva salvato suo padre ora era suo. Questo era ancora nel pieno della giovinezza, nonostante la scaglia mancante; sarebbe stato il suo compagno d’armi, la morte di Cleo avrebbe causato anche la morte del drago, ma la morte del drago non sarebbe stata anche la morte di Cleo. Questo era il prezzo che il drago pagava alla vita per aver ceduto una sua scaglia. Venne il giorno Primo, in cui Cleo doveva essere consacrata al trono che era stato dei suoi avi, al drago, poiché si dovevano appartenere anima e corpo. Il reame era in fermento, tutto doveva essere preciso; Cleo, quella mattina, era proprio nervosa, indossò un abito color panna, lungo, senza strascico, che, in caso di attacco sarebbe stato di intralcio, avvitato, aveva al collo la collana di suo padre e del padre suo ancora e ancora indietro negli anni. C’erano proprio tutti i suoi sudditi, tranne quei pochi che montavano la guardia sugli spalti del castello. Non fu una cerimonia sfarzosa, ma più una necessità, il popolo voleva il suo capo. E Cleo camminava, altera e lenta, lungo la navata della chiesa, arrivò agli altari, si fermò, sganciò il mantello, si inginocchiò e calò il capo in segno di sottomissione. Il vecchio celebrante, proferendo una preghiera e sancendo un diritto, pose una corona di pietre preziose sul capo di Cleo che, in segno di accettazione, baciò l’anello del celebrante. Poi Cleo fu invitata a salire i gradini, le fu chiesto di chinare il capo e una spada toccò le sue spalle, conferendole il grado di capo in assoluto delle sue stesse legioni. Il sole ormai tramontava, la cerimonia era al termine quando si sentirono i corni che suonavano l’allarme, tutti con le armi in pugno, le donne, veloci e pratiche, sospinsero i piccoli verso il fondo della chiesa, gli uomini già guadagnavano l’uscita, spada in pugno. Cleo, davanti a tutti, si fermò all’improvviso e, brandendo la sua spada, taglio di netto il suo abito, che le intralciava il passo; quel gesto caricò i suoi guerrieri di nuove forze e tutti, con un grido d’esultanza, salutarono il nuovo capo, riconoscendolo. Fuori dalla chiesa già volteggiavano alti i draghi, come ubbidendo ad un tacito comando, planarono ordinatamente per raccogliere il proprio cavaliere: avanti a tutti c’era il drago di Cleo; il suo era planare sicuro, le sue zampe non toccarono per nulla il suolo. Cleo, oramai pratica, afferrò le redini sospese e, spingendosi sulle gambe, saltò in groppa al suo drago e su nel cielo. Tutti i draghi, come una perfetta squadriglia, coprirono il cielo del reame, erano tanti che il sole fu oscurato. A un cenno di Cleo i draghi, con ampie planate sorvolavano il villaggio e su un lato si vedevano chiaramente le prime file dei Rattip. Planando, i draghi rasentavano il suolo, emettendo un potente sbuffo di fuoco, incenerendo molti Rattip. Ma molti altri riuscivano ad avanzare, dirigendosi alla chiesa. I Rattip sapevano che dovevano uccidere la progenie, poi sarebbe toccato alle donne, quindi avrebbero ridotto alla schiavitù gli uomini. La battaglia incalzava, Cleo e alcuni altri guerrieri corsero in difesa della chiesa e delle vite che si nascondevano dentro; scesero dai draghi, che guadagnarono di nuovo il cielo, volteggiando sulla chiesa e continuando la battaglia senza i loro cavalieri. Ci fu un violento scontro proprio sul sagrato della chiesa. Cleo, in prima linea, non si risparmiava, i suoi fendenti ebbero ragione di molti Rattip, alcuni draghi volavano lungo il perimetro del villaggio per impedire ai Rattip superstiti di scappare, quella doveva essere l’ultima battaglia. Cleo fu graffiata alcune volte, ma ormai era carica di elisir, si sentiva una specie di malessere generale, ma non lasciò il suo posto. La battaglia infuriava, le stradine del villaggio erano attraversate da rivoli di sangue, dei draghi neanche uno fu ferito, le legioni della nuova regnante accusavano delle perdite, ma la battaglia era per fortuna favorevole a Cleo. Un giorno e una notte durò l’atroce battaglia, tutti i Rattip furono sterminati, i draghi sorvolavano il villaggio bruciando qualsiasi corpo di nemico si muovesse, ma c’era quel drago che in altre battaglie era stato ferito a un occhio, la sua vista non era più come una volta, a lui era stato affidato il controllo di quello spicchio di cielo e non si avvide di pochi Rattip che guadagnavano la ritirata. Erano un popolo prolifero, per questo dovevano essere distrutti tutti. Finalmente la quiete tornò sul villaggio, ancora qualche giro d’ispezione da parte dei draghi, poi tutti i guerrieri controllarono ogni centimetro di villaggio, ogni capanna, tutti i resti furono bruciati, così tornò la quiete. Furono riaperte le porte della chiesa e si udirono di nuovo le risate dei bimbi, la voce ormai rasserenata delle donne: furono serviti molti elisir, per le ferite dei guerrieri, anche Cleo ne bevve di nuovo. Tutto era concluso. Alcuni giorni di riposo, poi Cleo decise di tornare al suo mondo, alla sua famiglia: la sua gente era quella, il popolo dei draghi, ma era vissuta a Baltimora, amava quei genitori così amorevoli. Nominò il suo generale capo del villaggio, lei sarebbe tornata di certo, c’era un giovane capitano. Sarebbe tornata, ma voleva il tempo di salutare i suoi genitori. Il suo drago la portò al limitare del bosco, ora la nebbia non c’era più. Pianse, Cleo, nel salutare l’amico di battaglie, ma era giusto tornare e accomiatarsi dai suoi genitori senza creare nel loro animo paure inutili, era sparita così all’improvviso. Pensava a cosa inventarsi per giustificare la sua lunga assenza; era tanto immersa nei suoi pensieri che non si accorse di occhi che la scrutavano tra la vegetazione, solo uno strano odore disturbava il suo naso; alzò gli occhi al cielo e con la mano salutò il suo drago che volteggiava già verso il villaggio; sapeva che lo avrebbe ritrovato lì al suo rientro al villaggio.
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09-10-2013 | Redazione Oceano | Una narrazione fantastica che appartiene a un genere intramontabile, tra realtà e fiaba, ben delineato nella sua connotazione descrittiva. |