Un corpo morto puo' dimenticare

(Giovagnetti Elzide)


Non mi sei entrato nella testa. Ne saresti uscito morto, ti avrebbe ucciso il pensiero senza l’aiuto delle mani. Sei comunque nello stomaco che si contorce e ti rimanda fuori, vomito verdastro nauseante cancellato dalle onde che mi vengono addosso. Non posso muovermi, le gambe sono due tronchi attaccati al corpo. Le mani sfregano sulla pelle, frenetiche mi feriscono, il sangue si impasta con la sabbia, ma non riesco a mandarti via. Continuo a vomitare. Voglio ingoiare il mare per togliere il tuo respiro dall’orecchio che mi spinge nella testa, la tua pelle umida che mi scivola addosso.
Un corpo morto può dimenticare…
- Sara non parlare a sconosciuti!
- Mamma, ma chi sono questi sconosciuti?
- Sono uomini che non ti vogliono bene.
- Perché se non mi conoscono?
- Sono malati!
- Hanno il raffreddore, mamma?
- Peggio.
- Hanno la febbre?
- Di più. E’ come fossero impazziti. Possono ferire il tuo corpo e farlo morire.
- Che significa mamma, non capisco.
- Non ti posso spiegare , ma non accettare mai caramelle o bambole da uno sconosciuto.
- Perché no? Le caramelle sono buone e adoro giocare con le bambole.
- Non puoi capire, sei piccola. Resta solo lontana. Le caramelle sono avvelenate come la mela di Biancaneve.
- Ti ascolto mamma, sarò più furba di Biancaneve. Non parlo a questi sconosciuti che fanno male alle bambine…
Non essere arrabbiata, non era uno sconosciuto.
Respiro a fatica, come avessi un camion sul petto. Vedo solo ombre, non trovo la mamma, forse non c’è mai stata.
Mi vedo sulla sabbia, ferma come morta. Le onde mi raggiungono, quasi mi coprono, un uomo strattona il braccio…
Le palpebre di colpo calano pesanti, non riesco più a vedere e ritorno nel corpo. Se non mi avesse tirato così forte il braccio forse sarei morta, avrei continuato a muovermi come aria, quasi fossi un fantasma.
Se quell’uomo la smettesse di urlare…
Gli occhi di Piero, mamma, sono quelli che ti entrano nel cervello e non li puoi più ignorare. Eravamo al dancing Ciao Ciao con la mia amica quando mi sono scontrata con il suo sguardo. Scherzando ho scommesso che lo avrei conquistato e Cris, incredula, mi ha trascinata fuori dal Samanà per portarmi al Minuit. Non è servito a nulla perché contro l’attrazione non si può lottare. I suoi occhi neri sulla pelle mi facevano quasi lo stesso effetto di un Coca-Havana quando mettono troppa Havana. Camicia bianca, jeans strappati. I miei preferiti. A un certo punto, come fossimo soli in pista, ho danzato solo per lui.
- Mi piaci. Ciao, sono Piero.
- Grazie. Ciao, sono Sara.
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E’ iniziato così. Abbiamo continuato a ballare. Quasi assurdo, ma è stato subito amore. Nessuno ha dovuto conquistare…
Le favole finiscono e al risveglio resta solo storia da raccontare. Piero a volte non lo trovavo, mi parlava di amici che non voleva trascurare, di tristezze e della sua rabbia e ogni giorno chiedeva emozioni più forti. A lui non bastava quello che per me era già troppo. Non ero pronta a nulla di quello che voleva, tantomeno fare l’amore. Sarebbe stata la prima volta.
Piero a volte era strano, e conoscere il suo passato tormentato non giustificava i malumori che mi scaricava addosso. Avevo a che fare con due persone. Una mi adorava, l’altra, crudele, uccideva i miei sogni. Non comprendevo le sue cattiverie, ma se i suoi occhi nerissimi entravano nei miei, il dolore lasciava spazio alla voglia di volare.
C’era sempre qualcuno pronto a parlarmi male del comportamento di Piero. Accadeva di vedere strani tipi attorno a lui, spesso trasandati. Avevano tutti gli occhi spenti e le occhiaie da malati. O ridevano troppo, o erano così tristi da fare male. Senza ragioni valide causavano risse nelle discoteche. Anche Piero per gelosia, come fossi di sua proprietà, minacciava quelli che mi corteggiavano…
Stare con Piero è come essere sulle montagne russe. Da un anno vivo sospesa, combatto tra la gioia e la paura di volare…
- E’ svenuta, ha perso molto sangue. Toglietele gli abiti bagnati e portatela dalla dottoressa nella sala visite.
- Queste ragazze scapestrate provocano gli uomini e non ammettono di essere state la causa di tutto se poi subiscono violenza.
- Se di violenza si tratta . Forse è solo una disattenzione, un imprevisto.
- Così poco coperte fanno andare il sangue nel cervello! Ci sta qualche movimento senza controllo. Ci sta tutto.
- Svegliati, sei in ospedale! Quanto alcool hai bevuto per cadere a terra?...
Gli infermieri sono impazziti, mi hanno già condannata e non sanno nulla dell’accaduto. Come possono essere tanto ottusi da non comprendere. E scherzano, quasi fosse una barzelletta e sparano domande assurde sul sesso… come lo fai, spesso, ti piace violento… di cosa ti lamenti, lo avrai fatto tante volte…
E neppure la delicatezza di coprirmi e magari chiudere anche la porta. Sento la sofferenza del corpo straziato sulla barella. Assaporo l’odore sgradevole di sangue che è nella stanza…
- Veloce, fai un’altra iniezione, continua a sanguinare. E’ svenuta nuovamente. La vogliamo perdere? E’ solo una ragazza. E’ giovane, ferita, spaventata, smettetela con le vostre domande.
La dottoressa mi passa la mano sui capelli prima di fare la visita. Cerca collaborazione per non farmi male, sembra che le gambe siano incollate e il corpo colpito da convulsioni.
La finestra è chiusa. Sento forte l’odore di ospedale. Quello che rimane addosso anche quando ne sei uscita. Sono ancora come aria e continuo a osservare tutto dall’alto, ma è sempre più forte la sensazione di sentirmi appesa a un filo che sta per cedere e ho paura di cadere…
- Oggi siamo andati al mare, mamma. Quando siamo arrivati al molo, Piero non mi ha fatta scendere dall’auto. Si è buttato addosso a me fissato di sesso. Ho continuato per tutto il tempo a cercare di togliere il suo peso da sopra il mio corpo, a spingere via le sue mani che nel frattempo che le fermavo si MOLTIPLICAVANO. Ti sei mai sentita soffocare? Hai mai visto un cane dopo una corsa? Ai lati della bocca ha troppa bava bianca e dalla lingua gli esce fuori la saliva. Piero ansimava come un cane da caccia arrivato
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sulla preda. Più mi rifiutavo, più aumentava il suo desiderio e spingevano le sue dita, mi faceva male. La sua voce strana, rauca partoriva parole assurde…fermati, sei mia, di più, non è niente, non ti sento, allarga, di più, non piagnucolare, più forte, ecco di più… A un certo punto ho smesso di asciugare la bava che Piero passava sulla mia pelle. Ho smesso anche di urlare il dolore. Ho lasciato ferme le braccia crocefisse e me ne sono uscita dal corpo prima che le sue mani lo sporcassero di sangue. Da sopra ho guardato ciò che stava accadendo nell’auto fino ai versi animaleschi di Piero per il suo orgasmo. Dopo che è crollato stremato perché ubriaco e svuotato, ho portato il corpo fuori per vomitare il suo sapore. Sono scappata andando verso il mare e sono caduta purtroppo prima, dove non arrivavano le onde a trascinarmi dentro per farmi morire…
- Ho finito di visitarla, controllatele la pressione e cambiate la flebo. Ha perso troppo sangue, fate anche un prelievo per controllare l’emoglobina. A parte il trauma psicologico non ha lesioni gravi. Quando si sveglia cercate di farvi dire se c’è qualcuno da chiamare.
Gli infermieri sono usciti senza aprire la finestra e questo odore di ospedale è sempre più nauseante, la mamma se ne è andata; forse non ha più forza di sentire. Il filo che mi teneva appesa sta cedendo, si spezza e io cado ancora una volta nel corpo. Sono consapevole di non poterne più uscire.
Dalla flebo escono le ultime gocce. Torna forte, insopportabile, il dolore e come aveva previsto la dottoressa, posso svegliarmi.
Resto con gli occhi chiusi.
Non voglio parlare.
Non ho nessuno da chiamare.
Anche se sono coperta continuo a tremare. Stringo forte gli occhi per non vedere. Non voglio mettere le vostre facce nella testa, neppure le parole.
Se solo riuscissi a sollevare le braccia, le dita già sarebbero nelle orecchie.
Volevo solo morire. UN CORPO MORTO PUO’DIMENTICARE.
Non mi avete lasciata andare, lasciatemi almeno dormire.
Mamma, mettiti vicina, scaldami. Queste lenzuola sono più fredde dell’acqua del mare. La caramella mi ha avvelenata, ma non ho scelto di ingoiarla.
Raccontami di Biancaneve, del suo risveglio, del bacio del principe e dei fiori e della musica...
Forse sto impazzendo. Vedo la figura di una bambina che cammina a testa bassa, trascina sulla strada una bambola spezzata. Non si ferma e neanche piange, ma la sua sofferenza mi entra nella mente e fa contorcere lo stomaco.
Non riesco più a vomitare, mamma. Debbo lasciarlo dentro il suo dolore.
Forse mi puoi aiutare. Portami a casa e mettimi sotto la doccia. Non mi hanno tolto l’odore sgradevole del sangue, lo debbo affogare.
Mamma, mamma…
La stanza si stringe, le pareti mi vengono addosso, mi sento schiacciare. Non riesco a respirare, ma non mi muovo. Questo corpo non lo posso salvare.
Al porto, sul molo, c’è confusione. Un’ auto rossa è circondata da molte persone e qualche poliziotto.
Un passante ha chiamato il 113 dopo che ha visto in quell’auto un uomo, immobile, sporco di sangue con i pantaloni abbassati fino alle caviglie e il braccio penzoloni fuori.
Giunti sul posto, gli agenti hanno chiesto soccorso al 118 per un uomo fatto di alcol e droga.
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Piero, l’uomo dell’auto rossa, cerca di spiegare che è solo frastornato e non ha bisogno cure. E’ sincero quando non sa giustificare la presenza del sangue. Vorrebbe chiedere di Sara, ma per paura resta in silenzio, lo assale un dubbio che lo fa tremare. Un flash degli occhi di Sara, sbarrati, gelidi e il suono della sua voce terrorizzata…
L’ambulanza si allontana senza azionare la sirena. Se ne va anche la gente. Uno a uno prima di andarsene guarda incredulo nell’auto.
Gli agenti si allontanano dal molo dove risulta tutto tranquillo. Si dirigono verso il mare.
Continuano a cercare sulla spiaggia perché il sangue, un po’ ovunque sull’auto, non è del proprietario Piero.