Il Ventre ed i Falò

(Di Paola Claudio)


Immobile e teso come un arco
dentro questa cella di pregiudizi
dietro queste infinite sbarre di
draghi ombre e fantasmi

mi incurvo su un’antica conchiglia
poggiata all’orecchio
per sentire quel mare che non ho
mai solcato.

E’ il nero che mugghia di queste strade
di queste case appena nate.

Dal fondo delle vitree foreste cerco un
suono d’ascia che svuoti le montagne e
squarci lo specchio dell’iride.

Io che non sono mai morto
ascolto il macinio dei giorni che
ammoniscono
mentre la noia espande il suo respiro
sottile e fastidioso.

Morsa sul fuoco stropicciato del mio
sacro tempio interiore

ho le ossa incise e messe in mostra
come zanne d’elefante.

Me ne vado ancora
con i pugni chiusi
controvento
finché non mi scuciranno il
tempo dal midollo
finché non si scioglieranno i
ventri molli

dalle calde lacrime
dal guaire di un cane
dal richiamo del colombo in amore
dalle colonne del grande caos.

Forse c’è ancora speranza nel
ventre di una donna.

Dal capezzolo da cui attingo il mondo.