Judh

(De Michele Maria)


Judh non sapeva la sua età, forse nove, dieci anni, ricordava a malapena il volto della madre, soprattutto l’espressione del viso rassegnato e già raggrinzito dagli stenti e dal sole.

Si era intrufolato, come un ladro, in quel barcone tra corpi maleodoranti impregnati di salsedine e sudore. Poi quel grosso guscio di legno quasi marcio si era fermato a pochi metri dalla riva, con l’abilità di una biscia era riuscito a farsi spazio tra le gambe tremanti e ossute di chi condivideva la sua stessa sorte ed era riuscito a scavalcare il bordo della barca e tuffarsi in mare. I piedi poggiavano a malapena sulla rena, l’acqua gli lambiva il mento. Si guardò intorno e a piccoli passi arrivò sul bagnasciuga, non sapeva di trovarsi a Mergellina, raggiunse la strada. I morsi della sete e della fame erano insopportabili, doveva assolutamente trovare del cibo e dell’acqua. In uno slargo del marciapiede illuminato da un fioco lampione vide dei gabbiani intorno ad un cassonetto traboccante di rifiuti che si azzuffavano per un tozzo di pane secco. Si avvicinò e i volatili con striduli assordanti di protesta si allontanarono di qualche metro saltellando goffamente.

Non aveva che l’imbarazzo della scelta, c’erano buste di popcorn semivuote, patatine, pezzi di tarallini mangiuc-chiati, tranci di pizze mordicchiate, lattine di coca cola e aranciata deformate e mezze vuote…

Rimediò una busta di plastica riempiendola di tutto quel ben di Dio. Doveva trovare un rifugio, a occhio e croce dovevano essere le quattro del mattino, di tanto in tanto sulla strada passava qualche auto ad alta velocità, una volante della polizia. Vide che dall’altra parte della strada c’era un giardino enorme circondato da una inferriata che terminava in alto con punte di lancia, doveva trovare il modo di entrare e ci riuscì, arrampicandosi come una scimmietta ad un tronco, senza procurarsi nemmeno un graffio. Esaltato dalla riuscita dell’impresa lanciò per l’etere un grido di euforia che si perse nel silenzio.

Vide in lontananza un platano enorme che rasentava con il tronco un piccolo casotto in muratura, si avvicinò all’albero attraverso cespugli di fiori multicolori mai visti, c’erano molte statue, i cui volti severi lo impaurivano, piccole fontane in marmo colme d’acqua. Si udiva fortissimo il frinire delle cicale. Esaminò la base del tronco in tutta la sua circonferenza, la natura aveva creato un anfratto sufficientemente ampio per poterlo ospitare e tenerlo al riparo dalle intemperie e dal pericolo di esse visto.

“Finalmente una casa tutta per me” pensò, mentre il cuore gli martellava nel petto per l’ euforia e la contentezza.

Entrò nella nicchia, si sedette con le gambe incrociate su di un cuscino di foglie, aprì la busta e iniziò a cibarsi del mais, che era ancora tenero, gustò le patatine dopo averle liberate da piccole formiche, sorseggiava di tanto in tanto dell’aranciata che aveva perso l’effervescenza ma era ugualmente gustosa e dissetante. I crampi allo stomaco erano scomparsi, il dolce della bibita bruciava leggermente gli spacchi d’arsura che aveva sulla lingua. Dal suo nascondiglio poteva vedere un pezzo di cielo popolato di stelle, ringraziò il suo Dio per averlo aiutato, poi si raggomitolò su se stesso e si addormentò profondamente.

Furono gli uccelli a svegliarlo alle prime luci dell’alba, era giugno e il profumo di quei piccoli fiori bianchi che gremivano il cespuglio che cresceva rigoglioso accanto al suo albero gli procurava un meraviglioso stordimento, una brezza leggera arrivava dal mare accompagnata dal lieve e monotono rumore della risacca.

Stiracchiò, non senza dolore, il suo esile corpicino, si stropicciò con le nocche delle mani gli occhi neri come la pece e grandi come quelli di un cerbiatto, appiccicosi di salsedine e senza uscire dal suo nascondiglio restò fermo a meditare sul da farsi.

Decise di aspettare che i guardiani aprissero i cancelli della villa, che i giardinieri completassero l’annaffiatura delle piante, intravedeva uomini e donne che portavano a guinzaglio i loro cani per i bisogni mattutini. Uno di loro tolse il gancio dal collare del suo cane per farlo correre, l’uomo aveva portato con sé una palla, la lanciava lontano e l’animale scodinzolando dalla contentezza la prendeva e la riportava al padrone. Judh ebbe un momento di panico quando la palla andò nella sua direzione e si fermò dinanzi alla nicchia. Spostò rapidamente la palla con il piede, il cane gli si avvicinò annusandolo, Judh allungò la mano per accarezzarlo, sapendo di non essere visto e sussurrò: “Va, piccolo, va via, il tuo padrone non deve vedermi…”. La sua supplica fu ascoltata, il cane prese la palla e ritornò dal suo padrone.

Nel meditare sul da farsi ricordò le parole di un tale sul barcone: “Tra poco saremo a Napoli, vedrete là troveremo lavoro, là la gente è buona e generosa, sarà la città che farà la nostra fortuna!” Nell’uscire dal nascondiglio si guardò con costernazione, indossava una maglietta sporca e lacerata, dei pantaloni dal colore indefinito, unti e raggrinziti, i piedi lordi di una poltiglia indurita di fango e sabbia.

Mescolandosi ai passanti che divenivano sempre più numerosi raggiunse un contenitore di rifiuti, nel frugare ebbe la fortuna di trovare un sacchetto di indumenti smessi . Rimediò una camicia a quadretti bianchi e blu, un po’ grande ma intera e pulita, un pantalone rosso certamente di un bambino più piccolo di lui, e continuando a scavare trovò delle scarpette sportive, anch’esse piccole ma per fortuna aperte sulla punta. Mise il tutto in una busta e ritornò al rifugio. Doveva urinare, doveva lavarsi. Nessuno badava a lui, come se fosse trasparente, per il momento gli tornava comodo. Non visto si tolse la lurida maglietta e il pantalone e si immerse in una delle fontane, quella meno in vista, si lavò alla meno peggio e senza asciugarsi indossò gli indumenti puliti. Anche le scarpe, seppure ridicole, erano comode. Con le dita delle mani cercò di sistemarsi i capelli nerissimi e riccioluti. Si specchiò in una piccola pozzanghera per controllare il suo aspetto, poi, a passi spediti, si avviò verso il centro della città, iniziava la grande avventura…