Nerino

(De Michele Maria)


E’ consuetudine che io esca da casa per lavoro all’alba, questa mattina di febbraio l’aria è gelida , una penetrante brezza marina mi incoraggia ad affrettare il passo verso la stazione. Lungo il viale incontro spesso cani randagi, di ogni razza, anche pregiati, che i padroni hanno abbandonato perché non hanno tempo da dedicargli o perché troppo vecchi e malandati. Mi si stringe il cuore quando queste creature mi guardano con tanta dolcezza mista a rassegnazione, quando si avvicinano avidi di carezze e di calore umano.

Improvvisamente sento un lamento debole e soffocato, mi fermo e noto sotto un cespuglio uno scatolone di cartone, mi avvicino, la scatola contiene un cucciolo di cane dal pelo nero, è infreddolito ed affamato. Il tempo si ferma, non avverto più il gelo, non mi interessa l’ora, il treno in partenza, una sola domanda occupa i miei pensieri: e ora…..cosa faccio? Lasciarlo lì, nemmeno a pensarci; portarlo a casa, impossibile, ho già un gatto e una casa piccolissima.

Nel meditare su tutto ciò il treno che devo prendere è già passato, né sono interessata a quello successivo, ho ben altro a cui pensare. Avvolgo nella sciarpa Nerino, sì, nel frattempo gli ho dato un nome; gli occhi innocenti mi guardano con infinita tenerezza, smette all’istante di gemere, ha messo nelle mie mani la sua esistenza.

Adesso il problema è solo mio. Ritorno verso casa, porto il cucciolo sul pianerottolo del terzo piano, gli appartamenti sono disabitati, rientro in casa , vado in cucina a preparare del latte tiepido, prendo dei maglioni smessi per un confortevole giaciglio. Sollevo con delicatezza il caldo corpicino per avvicinarlo alla ciotola, a malapena Nerino si regge sulle zampe, mentre lecca voracemente il latte si gira, ad intermittenza, per assicurarsi che sono con lui, scodinzola, palesando gratitudine. Il problema resta, analizzo le varie possibilità di risoluzione aspettando di essere illuminata da un’ idea accettabile.

Guardo Nerino, ha gli occhi chiusi, un’espressione serena e soddisfatta, ma non dà segni di vita, non respira più. Il groppo in gola si trasforma in pianto, ma trovo conforto nel pensare che le poche ore d’amore che gli ho donato sono valse più di una vita stentata e vagabonda tra l’indifferenza degli uomini.