Palfeo

(Didonna Maria Elena)


Seduto su di un sagrato di una piccola città,
sui gradini innevati, un uomo,
le cui radici si estesero lungo l’arido e incolto terreno
dai colori opacizzati e dal grigiastro ossigeno ,
sfoderava la lingua pungente
contemplando il sole morente.

Di linfa poetica s’animava il suo riso.

Muto il cielo innanzi a lui.
Lui affamato delle sacre pietanze,
i cui ingredienti citava.

Ma il sordo udito dei passanti, mutilato dalla gazzarra mondana,
urtava contro la sua lemma sapiente.
Che sdegno vi fu a citar’ le mentite emozioni
di individui che fingevano di non provar’ ardore.

Gocce di lava bruciarono la sinopsi di una storia quotidiana,
le cui bocche si cibavano di erbe amare, ma lenitive.
La sua storia straripava, come fiume in piena, tra le strade,
quasi fosse l’assordante monotonia
che tutti annoia.

Orsù il richiamo del guerriero,
ove, sul seducente destriero
maneggiava le lingue biforcute
recitanti verità e sprezzo versus una folla audiolesa e accomodante,
i cui assensi circuivano e traviavano i deboli cuori.

Mentre lui percorreva il lembo boscoso,
ignorato era da illustri e lucenti artigiani,
il cui veleno era più esiziale del Crotalo Tigre
e sicché i loro passi conteggiano
per sommare il ricavato giovamento
che portano a se solo acqua e cemento.

Questa è la storia di un uomo
il cui nome fu del cielo, suo amante patente.
La sua paura non ostacolava l’impavida spada
adornata era da luce non riflessa.

E’ la sua voce che grida la storia della Vita.
E’ Palfeo che caccia la sua preda verità celata.
E’Palfeo che denuda i falsi lucernai
E come oratore ne fece della sua vita la propria missione.