Da Parigi di vede il mare

(Vai Maria Grazia)


Erano le cinque del pomeriggio, sarebbe giunta a Lione intorno alle undici, per poi ripartire e giungere a Parigi a tarda serata del giorno dopo. Le spiagge di Arenzano si stavano svuotando dalla massa di bagnanti e che l’avevano affollata durante il giorno, quando Marielle giunse nei paraggi. Era l’ora ideale per godersi il tramonto in riva al mare. Si rinfrescò con un Mojito al primo wine bar che incontrò sul lungo mare, per dirigersi poi verso la riva. Si levò gli eleganti sandali color malva che aveva indossato per il convegno e si dette a una lunga e ritemprante passeggiata sulla sabbia. L’acqua del mare formava piccole onde che frangendosi sul bagnasciuga producevano quel suono a lei tanto famigliare. C’erano poche altre cose che riuscivano a rilassarla in quella maniera, forse soltanto il rumore della pioggia. Quando il sole stava scomparendo dietro la linea del tramonto e il buio stava per incombere, Marielle raccolse le sue cose e ripartì alla volta di Parigi.

1. Quelle corazze di sale così fragili ma nel contempo così misteriose…

Giunta nella sua camera d’albergo - la sua adorata camera, nel cuore di Parigi, al secondo piano di un palazzo dell'Hôtel Elysées Union - si distese sul letto, con in mano un cristallo di mare appena estratto dalla borsa: uno di quelli raccolti durante il suo ultimo viaggio. Mentre per le vie e all’interno dei locali di Parigi la vita era in fermento, nella sua stanza al 44 di Rue De l'Amiral Hamelin, Marielle si abbandonò ad un bagno rigenerante, scegliendo in sottofondo una musica d’altri tempi: “In My Secret Life” un classico di Leonard Cohen.
Miscelò l’acqua con la mistura di olii da bagno da lei composta: estratto di mirra e cardamomo -quelli da lei preferiti e dominanti sulle altre fragranze- profumarono l’intera stanza da letto oltre al bagno.
Eppure, nonostante la carezza d’acqua, quella notte Marielle ebbe un incubo. Un sogno in bianco e nero. E privo di rumori.

Stava correndo sulla spiaggia di Arenzano, quella spiaggia dove ha trascorso buona parte della sua infanzia. Era buio e il mare nero come la pece. Correva a più non posso, inseguita da una presenza che le toglieva il fiato. Inciampò in un sasso e cadde a terra, prima sulle ginocchia per poi finire lunga distesa. Un rivolo di sangue scorse sul ginocchio. Stringendo nella mano un braccialetto di filo rosso, Marielle fece per voltarsi e cercare in qualche modo di misurare la distanza che intercorreva fra lei e la sconosciuta. L’ombra era ormai sul punto di raggiungerla. Il cuore prese a battere all’impazzata, fece per rialzarsi, ma una “voce” l’agguantò.

Marielle si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, sudata e trafelata. Scattò seduta sul letto, gli occhi sbarrati. D’istinto, il suo sguardo si spostò sul polso sinistro: l’orologio di mamma era lì, al suo posto. Si guardò intorno. La stanza d’albergo era immobile e si potevano ancora sentire i profumi della mirra e del cardamomo. Il baccano delle auto e dei passanti in strada era lontano e penetrava a fatica nella stanza attraverso la finestra socchiusa. Il respiro di Marielle riprese in pochi minuti un ritmo regolare. Inspirò profondamente, si rigirò nel letto un paio di volte, l’angoscia svanì da lì a pochi minuti e si riaddormentò. Il mattino successivo si svegliò di buon umore. L’incubo della notte era ormai un ricordo lontano, rimpiazzato dai pensieri su impegni e progetti per la giornata che le si prospettava. Mille cose da fare, un pomeriggio costellato di appuntamenti e per finire, a cena con gli artisti di Parigi. Afferrò la borsa, si guardò un’ultima volta allo specchio e si diresse verso l’uscita, pronta per affrontare un’entusiasmante giornata. Ma la porta della stanza chiusasi alle sue spalle, si riaprì trenta secondi dopo. Aveva dimenticato una cosa importante. Estrasse il suo portagioie dal cassetto, lo aprì e ne tirò fuori una lacrima di cristallo. Tra le pagine di un libro per metà già scritto (per l’altra metà non ancora sognato) c’era un piccolo segnalibro di papiro che non aspettava altro che di poter ospitare quel frammento di mare.

Ogni libro, ogni spartito dipinto da Marielle nasconde un “taschino” come quello, pensato appositamente per contenere gocce di cristallo. Inserendo queste “note” nelle sue opere, Marielle intende trasmettere a chi vorrà ascoltarla, un po’ delle sue sfumature. Un soffio di musica e speranza per chi utilizza soltanto grigi e neri e monosillabi per colore. Nei suoi disegni mette tutta se stessa: creare nuove parole, sfumature in sillabe, gioielli in filigrana, è il suo modo di comunicare, di trasmettere il suo messaggio e di lasciare il proprio segno.

La giornata fu intensissima, ebbe modo di assorbire nuovi stimoli, luci, colori e idee. L’unico momento di calma che trovò durante il giorno fu nel pomeriggio, quando ebbe due ore libere da appuntamenti, si sedette a un tavolo di un caffè nelle vicinanze di La Rotonde, famoso Caffè Letterario in Montparnasse, lanciato nel 1913 da Apollinaire e dai collaboratori della rivista da lui diretta, "Les Soirées de Paris". Tutti loro, artisti e poeti, si ritrovavano al Dôme e alla Rotonde (inaugurata nel 1910) dopo le riunioni della rivista. Anche Cendrars e Modigliani sono stati degli habitué della Rotonde, frequentata occasionalmente da Lenin, Trotski ed Ehrenburg. Ordinò un succo di frutta alla pesca, estrasse dalla borsa matite e fogli e si mise a disegnare.


2. Quelle parole così semplici ma nel contempo così preziose…

E’ sera. Il momento in cui le ore sfumano in buio e gli occhi di Marielle si tingono di rosso cupo, uno stato emotivo che l’assale anche stavolta, ogni qualvolta rimane sola nella sua stanza -la sua adorata camera, nel cuore di Parigi- Sola e senza gessetti. Sola, col ricordo di Giulia, che muovendo goffamente le mani, le annoda un braccialetto di filo rosso al polso e le parla tramite il linguaggio dei sorrisi.

“Quel che una cosa ti fa immaginare può essere molto più reale di quel che essa è”

Giulia, forse l’unica persona con cui Marielle si sente completamente sé stessa, da sempre, fin da quando, bambine, trascorrevano intere giornate ad annodare braccialetti a gocce di cristallo.
Privata del dono della vista fin dalla nascita, Giulia parlava la lingua dei sorrisi, delle nuvole di stoffa e dei colori immaginari che le inazzurravano le guance anche se fuori è buio pesto... la comunicazione più intensa e straordinaria che Marielle abbia mai conosciuto. Dovendo abbandonare la retorica che tipicamente accompagna le parole scambiate attraverso gli sguardi degli umani, comunicare con Giulia diventò agli occhi di Marielle quanto di più autentico si potesse immaginare. E poi c’è un affetto impareggiabile a legarle l’una all’altra, non c’è nessuno che la conosca meglio di lei.

Ora Giulia abita chissà dove, ma appena ne ha la possibilità Marielle va a trovarla…
Solitamente lo fa nei mesi autunnali, quando Parigi si fa piovosa, fin da quel dodici settembre, il giorno in cui sulla spiaggia di Arenzano, Marielle scopre il suo dono.

Trascorreva il suo tardo pomeriggio sulla spiaggia, camminando sul bagnasciuga intenta nel raccogliere le piccolissime gocce di cristallo che le restituiva il mare in tempesta. La pioggia scrosciante e il rumore delle onde s'infrangevano ritmicamente dalla spiaggia alle caviglie; fu un attimo e si ritrovò completamente immersa in un turbinio di acqua salata che la trascinava dentro un immenso oceano blu. Un susseguirsi di onde strane, improvvise, l’avevano travolta facendole perdere l’equilibrio. Marielle non riusciva a vedere e lottava contro un abbraccio d’acqua gelida che la stava portando con sé. Ad un tratto il buio…un ronzio che via via si fa silenzio e in lontananza l’odore della pioggia che filtra dalla finestra rimasta inavvertitamente aperta. E tutti i suoi disegni, sparsi (e Marielle con loro) sulle marmelle rosa del pavimento. Troppo buio per cercare di raccoglierli tutti senza correre il rischio di calpestarli e il troppo silenzio le riempiva le orecchie, gli occhi, le narici. Decise di mettersi a cantare, se non altro avrebbe avuto la sua voce a farle da invisibile compagna, ma non ricordava neppure un verso. Sapeva, anzi, era assolutamente certa, che alle pareti della stanza, così come sullo scaffale “dei glicini marini” ci fossero dozzine di spartiti, pergamene e cartamodelli con incise le note delle sue parole amiche. Poco prima che il buio la inghiottisse stava appunto disegnando una canzone…Ma quel silenzio, quella mancanza assoluta di rumore proprio non aveva regione di esistere. Le sarebbe bastato sollevare gli occhi, muovere adagio le mani e tutto, anche il blu, avrebbe cambiato colore. Le sarebbe bastato sollevarsi sulle punte dei piedi, e le sue canzoni avrebbero danzato con lei (per lei?). Ma non quella sera. Non quel colore… Non Marielle.

3. da Parigi si vede il mare. Dimmi, tu lo senti?

Nella sua casa c’è una stanza per ogni colore e i vetri delle finestre hanno l’odore del mare. Quella notte le persiane erano mute, nessuna voce dentro i cristalli; solo la pioggia e a tratti il vento, stonato e confuso. Non era mai accaduto che Marielle perdesse contatto con le parole. Anche il silenzio sapeva raccontare e alle volte addirittura scrivere interminabili righe piene zeppe di suoni. Marielle aveva il dono di “camminare” le parole. Anche quelle zoppe che a prima vista sembravano non avere alcun significato. Sapeva riordinarle con un semplice tocco di matita. Non un pittore, piuttosto un modellatore di canzoni.


Si risvegliò sulla spiaggia di Arenzano. Nessuna luce, nessun rumore, nella mano destra stringeva ancora i suoi piccoli cristalli. Al polso della mano sinistra un braccialetto di semplice filo rosso; quello stesso che temeva aver perduto e non aveva mai più rivisto prima di allora.

Pendente una piccola medaglia con inciso “ a Giulia “… il suo secondo nome.