Ravel

La mia casa nel bosco
Questo posto dove dormono papà, mamma e i nonni forse è anche un po’ mio. Dormo qui e qualche
volta mangio. Mi piace pensare che sia la mia casa tonda col fuoco al centro, il lumino acceso,
odore di zuppa e di fumo. Quando fuori è tutto bianco e fa molto freddo, la casa dentro diventa
nera e fa un bel caldo. Quando fuori è tutto verde e colorato, la casa diventa bianca di calce
e rimane fresca. Poi c’è il bosco, il mio rifugio.
Non so quanti anni ho, sono meno alto della gamba di papà, so solo che mi chiamano Rav.
Oggi papà ha portato via il gemello, mamma non voleva, lui gridava “fatti bastare l’altro”. 
Forse l’altro sono io. Devo essere stato molto cattivo e forse sono invisibile. Faccio una prova. 
Ho rubato un ferro, quello più piccolo che usa nonna per cucinare, è la mia arma segreta, con la 
mia forza e questo ferro posso far morire i mostri del bosco. Per ora mi accontento di fare un buco 
alla mia mano. Il sangue esce, non sono morto.
Fuori fa freddo, la neve è alta, il bosco senza foglie sembra un fantasma. Prendo un pezzo di pane, 
mi metto la maglia che arriva ai piedi e esco. Corro, corro, corro e piango. Non devo piangere, le 
lacrime diventano dure e fanno male, il moccio tappa il naso e non fa respirare.
Dove avrà nascosto il mio gemello?
Il bosco sembra vuoto, so che scavando troverò la terra e la tana del coniglio. Raschio sotto il 
tronco grosso, oltre la neve trovo un buco nel legno, un buco più profondo del mio braccio, allungo 
la mano fino a sentire il morbido di una pelliccia, afferro e tiro su un coso caldo, morbido, 
sicuramente vivo. Si dimena, lo metto in mezzo alle gambe per bloccarlo e affondo il ferro dentro 
un occhio. Vuole fuggire, lo tengo fermo guardando il sangue scorrere, rosso come il mio sangue, lo 
lego con la cinta e lo seppellisco nella neve fino al collo. E’ ancora caldo, non piange, non si muove,
poi l’urlo della morte e muore. Credo che sia morto, ha spalancato la bocca. Ora so cosa è la morte, 
so anche che al mio gemello non ho fatto del male. Tiro fuori il coniglio e lo porto nella casa tonda. 
Nonna soddisfatta gli leva la pelliccia e lo mette nel pentolone della zuppa. La pelliccia la venderà 
alla fiera.
Quando la casa diventa bianca e fuori arriva il verde, mamma e nonna fanno un grosso pacco di tutti 
i lavori da loro eseguiti durante l’inverno. La lana delle pecore era diventata un filo fino e loro 
con quello hanno confezionato maglioni, sciarpe, calze e altri capi di vestiario. In un altro pacco 
accatastano pellicce di animali. Papà è molto bravo a tagliare la legna, tanta viene bruciata nel 
focolare, i pezzi più belli sono diventati piatti, conche, forche, alcuni oggetti hanno preso la 
forma di animale. Papà di sera, si mette in un angolo e senza parlare lavora con il suo coltello.
Ora fuori fa quasi caldo, papà lavora nel campo, abbatte gli alberi nel bosco, la mucca e le pecore 
sono uscite dalla casa, mamma non piange più. Sembra tutto più bello. Oggi è venuto un signore, 
gentile, mi ha toccato i capelli. Ha parlato molto questo signore con mamma e papà. Diceva “scuola”, 
“leggere” e poi non ho capito. Mamma e papà si sono un po’ arrabbiati. Il signore se ne andato e 
papà gli ha regalato un piatto di legno.
Ho sentito i miei genitori parlare stanotte. Mamma diceva “Italia, io vado e poi ti chiamo”. “Rav?” 
chiedeva papà. “Rimarrà qui con i nonni”. Non ho capito niente, mi preoccupa solo che hanno fatto 
il mio nome. Comunque con i nonni ci sto bene, sono vecchi, se scappo, non possono rincorrermi.
Oggi c’è la festa al villaggio. Il villaggio è quel posto con il mulino, una strada dove passano 
i carretti, qualche strana casa quadrata e molta gente. Abbiamo camminato veloci per due ore, siamo 
arrivati stanchi e affamati. Mi hanno dato una fetta di pane e del sale. Nonna e mamma stendono una 
coperta a terra e la ricoprono con tutti gli oggetti portati nei pacchi, parlano con altre donne, 
ogni tanto danno un loro oggetto in cambio di una bottiglietta d’olio, di un pezzo di stoffa, un 
sapone, un sacchetto di sale, un cucchiaio di metallo. La coperta da una parte si riempie di queste 
cose nuove, mentre l’altra parte si svuota. Nonna e mamma sono contente e sorridono. Nonna senza 
denti, mamma tutta rossa per l’eccitazione. Papà paga con i suoi oggetti di legno il mugnaio e 
l’uomo del “tabacco”. Torniamo nella casa tonda, dove nonno aspetta e mantiene il focolare acceso.
Sta per accadere qualche cosa, non so cosa, ma non mi piace quando mamma e papà parlano sottovoce 
per non farmi capire. Meglio quando papà urla e tira calci e schiaffi, come ha sempre fatto. 

Un pacco legato con una cinta è pronto. Una macchina lunga con altre persone dentro si avvicina 
alla casa tonda, papà apre la porta, parla con un uomo, chiama mamma e dice “va”. Mamma mi prende 
in braccio, mi da quel bacio che non avevo mai ricevuto, esce, sale sul pulmino e parte. 
Mi viene da piangere. Non posso, riprendo il mio ferretto e mi buco la mano, Il sangue è rosso 
e sa di ferro.
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Pubblicata il 06-10-2015

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