L'albero della risaia

(Arecchi Alberto)


Bakary è nato in uno sperduto villaggio dell’Africa occidentale, del quale conserva solo un lontano ricordo. Da piccolo era fermamente convinto che i bianchi portassero via i bambini neri per mangiarseli. Gli zii, nelle lunghe serate intorno al fuoco, raccontavano di uomini bianchi e cattivi, armati di fucili, che portavano via i bimbi del villaggio… e i bambini non ritornavano più. Nei racconti dei vecchi, i bianchi apparivano come persone d’un altro mondo, con modi strani di vestirsi e di parlare. Persino l’odore dei loro corpi era diverso, sapeva di morte e di putrefazione.

I ricordi più importanti dell’infanzia di Bakary sono il volto della madre e la cerimonia del passaggio all’età adulta, quando lo lasciarono per un’intera settimana nel bosco, con i compagni della stessa età, a contatto con gli spiriti degli antenati. Una specie di “corso di sopravvivenza”, destinato a forgiare il cacciatore della selva. Il destino, però, sembra essersi preso gioco di Bakary, perché lo ha allontanato dalle boscaglie e lo ha spinto nella terra dei bianchi, a vendere paccottiglia ai passanti agli angoli delle vie.

È sera e la giornata gli è andata male. Ha venduto poco e gli hanno anche sequestrato la merce che esponeva. Il giovane ambulante non ha né la voglia né il coraggio di ritornare al lercio dormitorio per fare i conti dei magri incassi. Si mette a vagare per vie sconosciute; gli ritornano alla mente i pericoli della foresta, i grandi alberi abitati da ogni specie d’uccelli e dalle scimmie, il boschetto sacro vicino al villaggio, dove erano custoditi i feticci di lontani antenati.
Bakary cammina, senza rendersi conto del tempo che passa. Attraversa la periferia, supera il capolinea dell’autobus e attraversa discariche di rifiuti, passa oltre la tangenziale e prosegue, tra quartieri dormitorio e ruderi di vecchi cascinali. Il buio lo coglie in mezzo a campi di riso allagati. È una notte di luna piena, saturata dal gracidìo delle rane, da voli di pipistrelli e da nugoli di feroci zanzare. Un acre odore di spazzatura e di diserbanti pesa sulla campagna. Il riflesso della luna sullo specchio delle risaie gli ricorda il suo lontano Paese, nella stagione delle piogge.

Bakary tocca con devozione gli amuleti, i grisgris che porta sempre con sé, appesi al braccio, dal giorno dell’iniziazione. Si accoccola sui talloni. Nei riflessi, sulla superficie dell’acqua, gli appare la forma d’una sirena, bianchissima, i lunghi capelli che sembrano serpi. È la signora delle acque, come appare ai pescatori, nelle lagune d’Africa, tra i boschi di mangrovie. Tutti conoscono e temono il potente genio femminile, la figura più pittoresca fra gli spiriti ancestrali. È una bellissima sirena dai capelli chiari, che al cadere della sera esce dalle acque profonde, si siede sulla sponda del fiume e attende un nuovo amante. Identifica il prescelto e lo trascina con sé, nel proprio mondo favoloso.

Sotto la luna piena, come in un antico rito d’iniziazione, Bakary danza sul bordo della risaia. Il canto dei grilli e delle rane sale al cielo, ritma la danza, come strumenti di terre lontane. La sirena lo chiama a sé, con movimenti flessuosi. Bakary, con i pantaloni rimboccati, scende nell’acqua. Le sue gambe s’intrecciano con le code della sirena, i capelli di lei gli avvolgono i lineamenti sudati e si avvinghiano come serpenti, i due sorrisi s’incontrano. Le forme si contorcono, sotto le livide luci d’una periferia urbana e della luna piena. Nell’acqua d’una risaia, ai margini della grande città, sembra che si tocchino due mondi: quello d’un tempo, con le entità che popolano la natura, e quello di domani, in cui l’uomo stenta a trovare il proprio posto.

Ora sembra che un baobab affondi le radici nell’acqua della risaia: l’albero magico nel quale i poeti e i cantastorie raggiungono il riposo eterno. I baobab crescono lungo le antiche piste degli elefanti, i quali ne sono ghiotti e contribuivano, con i loro escrementi, a diffonderne i semi. Una sorta di “simbiosi tra giganti”. Dove ormai gli elefanti sono conosciuti solo in fotografia, i loro antichi tragitti sono ancora riconoscibili perché segnati da una scia di baobab, piante sacre, nel tronco cavo si seppelliscono i griots. Il griot è il cantore dell’Africa nera, che ricorda e celebra i fasti e le tragedie; quando conclude la propria vita, viene sepolto all’interno del grande albero sacro.
Ogni anno l’albero si anima, per una sola notte, sotto la luna piena. Si copre di fiori bianchi ed è popolato, dagli spiriti degli antenati e della natura, da tutti gli uccelli e gli animaletti del mondo dei vivi. È il sabba d’una notte, che vede partecipare Bakary, la Signora delle Acque e la luna e si svolge senza testimoni. L’indomani un albero spoglio si ergerà al centro del campo allagato e tenderà al cielo i suoi rami, come moncherini privi di mani. Pochi fiori bianchi, dischiusi, appassiti e caduti nel breve tempo d’una notte, galleggeranno sulle acque come barchette di carta. Qualcuno troverà sul bordo della risaia un amuleto, un grisgris di cuoio, ornato da una conchiglia di spiagge lontane. L’albero dal tronco cavo, uscito dal passato, da un’altra terra e da un’altra luna, accoglierà il griot, il poeta venuto da lontano.