Pasquetta

(Giordanelli Gerardo)


Il primo gitante lo vidi alle sette del mattino, che girovagava indolente nella piazza deserta delle Terme Luigiane.
M’ero svegliato presto, come ogni giorno, e pigramente ero sceso in cucina a prepararmi il caffè. Dal selciato, avvertii lo scalpiccio di Nerone che sopraggiungeva di corsa sotto il portico. Come al solito, aveva seguito attento i miei spostamenti, senza abbaiare. Spiai dalla finestra: guatava il portoncino della cucina agitando la coda. Sedetti al tavolo e bevvi il primo caffè della giornata, il migliore. Nerone ormai sapeva, pensai, che per abitudine non sarei andato fuori così presto, affrontando in pigiama la sua giocosità scomposta e l’umidità delle prime ore. Eppure, al mattino, finché almeno uno di noi non si fosse esposto alle esuberanze del suo affetto, seguiva tutti i nostri movimenti di inizio giornata come se stessimo per uscire in giardino da un momento all’altro. Girava intorno alla casa accompagnando passi e rumori, e, non appena sentiva calpestare i gradini di ferro che scendono in cucina, percorreva di corsa il vialetto o la rampa della scala esterna, precipitandosi fino al seminterrato.
Salii la scala a chiocciola e, nel soggiorno, accesi una sigaretta. Posando il pacchetto e l’accendino sulla credenza, guardai dalla finestra la piccola valle alberata e, così, giù in piazza, lo vidi. Camminava piano, con le mani dietro la schiena, curiosando intorno senza meta. Continuando a osservarlo, pensai che dovesse essere arrivato da un bel pezzo, il tempo di parcheggiare l’auto all’ingresso del parco fluviale, svuotare il bagagliaio, trasportare i numerosi contenitori da picnic, scegliere un tavolo capiente vicino a un barbecue e, infine, avviare il fuoco. Non solo; doveva aver avuto pure il tempo di annoiarsi a rimanere lì: ora toccava ad altri tenere il posto, apparecchiare, badare alla griglia e alle padelle, inventariare le portate. Magari, avrà pure lasciato istruzioni ai bambini che giocavano sull’ampio prato o ai più grandicelli che si inoltravano per i sentieri. Forse, era andato incontro al resto della comitiva: altre auto, altre famiglie, altre cibarie; a Pasquetta, si sa, occorre essere in tanti per divertirsi davvero! Lui, di sicuro, l’aveva passato altre volte il lunedì di Pasqua alle Terme: sapeva che bisogna arrivare presto per occupare i posti migliori, magari una di quelle rare piazzole appartate, alte sul fiume, ai margini del sentiero delle passeggiate, con un solo grande tavolo e, accanto, un barbecue, in modo da usarlo in esclusiva. E, poi, compiacersi di essere spiati dagli altri, da lontano, e invidiati per la solerzia e la sagacia, senza venir infastiditi dal passeggio o dalla invadenza dei vicini, oppure dai ragazzi che rumoreggiano o giocano sui prati. A Pasquetta, si sa, al fiume si è in tanti!
L’uomo s’aggirava svagato per la piazza, forse aspettando gli altri, soddisfatto che ora, grazie a lui, il resto della scampagnata potesse procedere senza intoppi.
Dopo la doccia, mi vestii e andai sul terrazzo. Dal fiume salivano voci e rumori, e, intanto, s’alzava una nuvola di fumo grigia e compatta che, per mancanza di vento, rimaneva sospesa sulla stretta valle. Al parco le attività ormai fervevano. Osservai Nerone, richiamato dal baccano, trotterellare lungo il vialetto, verso la scarpata da cui s’intravede il fiume. Si fermò sotto la quercia, alla curva dove il vialetto torna indietro, scendendo verso il porticato della cucina. Seduto sui posteriori, seguì per un po’ arrivi e movimenti che al fiume, intanto, si erano intensificati; poi, ritornò lentamente verso casa e si accucciò davanti all’ingresso.
Temevamo che a Pasquetta, attirato dalla gente e dalle grigliate, Nerone " espansivo e giocherellone com’è " potesse scappare giù e, magari, spaventare qualcuno. In giardino, fra cespugli e pendii, c’era più di un varco da cui, di tanto in tanto, Nerone si inoltrava, allontanandosi verso i boschi circostanti o scendendo in piazza e al fiume, per poi ritornare a casa dopo lungo sabbatico o quando lo richiamavamo. Non avevamo voglia, però, alle Terme, fuori stagione, di tenerlo legato, e, comunque, anche in quella occasione, stava ancora meritando la nostra fiducia.
Eravamo lì da quattro giorni. Quattro giorni di escursioni, silenzio, colori, assoluta solitudine. Con gli stabilimenti ancora inattivi, il comprensorio termale in quel periodo era disabitato; chiusi e spogli erano alberghi, villini e locali, deserte e trascurate le vie e la piazza. Ma il lunedì di Pasqua, alle Terme, è giorno di allegria, chiasso, confusione. Sembra d’essere in un altro posto. Dall’alto terrazzo di casa, vedevo i gitanti invadere la piazza, da soli o a gruppetti. Fra gli alberi, si scorgevano le auto andare verso il parco o tornare indietro. Dal fiume arrivavano schiamazzi, risate, canti: erano lì da ore, qualcosa dovevano pur fare.
Arrivarono rombando, una dietro l’altra. Tre auto si fermarono nello slargo di fronte alla nostra stradella d’accesso. Al fiume, evidentemente, tutti i tavoli erano ormai occupati. Lo spiazzo è alberato e, ai margini, c’è pure una fontana: ai ritardatari andava bene. Erano cinque coppie di giovani, ventenni o poco più. Constatarono contenti di essere lì da soli. Ma forse ignoravano che, più tardi, anche su quel piazzale ci sarebbe stata ressa.
Dal terrazzo, ora, si vedeva gente dappertutto, macchie colorate e chiassose nelle vie disadorne, fra gli alberi, in alto sui sentieri. Pensavo al disordine e ai rifiuti che avrebbero lasciato in giro, e mi indispettiva presumere che qualcuno di loro, per giunta, potesse anche risentirsi per l’odore acre delle fonti sulfuree o per l’aspetto desolato e senza tempo offerto dalle Terme fuori stagione. Mi sentivo spiato e invaso. Ma sapevo, da sempre, che quel giorno arrivava, quell’abuso si consumava e poi svaniva, e perciò mi imponevo paziente rassegnazione. Mi sforzavo, ogni anno, di trovarci qualcosa di buono, un qualche vantaggio. In fondo, casa nostra è alta, vicina al bosco e isolata dal clamore e dalla confusione, che restano lontani, in sottofondo. Restava, però, l’oltraggio al territorio indifeso. Pensavo che occorresse in qualche modo controllarlo, non bastava più rimediare dopo.
Affaticato per quei quattro giorni di sgroppate e arrampicate, o forse reso ormai saggio dagli anni, Nerone si era steso nell’erba, al sole invitante di quella primavera fino allora avara. Nello spiazzo sottostante, intanto, avevano acceso un’autoradio, ad alto volume. Con uno stesso ripetitivo ritmo tambureggiante, ossessivo, che sprona i corpi al ballo, la musica risuonò a lungo, anche adattando antiche canzoni. Dopo aver preparato la tavolata, i giovani tirarono fuori un pallone e cominciarono a giocare, schiamazzando e rincorrendosi.
Uscii finalmente in giardino. Nerone mi venne incontro festoso. Poi, mi sedetti al sole a fumare, sul muretto di un’aiuola. Gli altri dormivano ancora; non c’era fretta. I giornali quel mattino non uscivano: non occorreva nemmeno scendere in centro. Nerone ritornò di corsa dal vano inseguimento di una lucertola. Nei pressi del muretto, rallentò il passo, avvicinandosi adagio, con la testa bassa e le orecchie penzoloni. Quando allungai la mano, si affrettò a strusciarsi ai jeans e a posare il capo sul mio ginocchio.
Quel giorno non avremmo mangiato pasta; però avremmo preparato anche noi una grigliata. Nei giorni precedenti, avevamo mangiato tanto. “Anche tu, caro mio!”, dissi a Nerone strofinandogli la testa. Il giorno prima, addirittura, avevamo festeggiato la Pasqua in paese, al ristorante di un mio cugino che, al momento di andar via, volle consegnarci per Nerone un recipiente ricolmo di avanzi. “Oggi, invece, rosicherai solo un po’ di ossi e, tutt’al più, dei dorsi di formaggio”.
Gli accarezzavo la testa ed era felice, era tutto quello che voleva. Guardavo i suoi occhi socchiusi ed ero felice anch’io, mentre in lontananza giungevano attutiti gli echi dell’allegria da pasquetta.
Ci saremmo fermati alle Terme altri due giorni; ancora due giorni di pace e di immersione in quel posto ritornato desolato e senza tempo, riempito dalla natura lussureggiante e riconciliata, dai ritmi lenti del fuori stagione. “Nero’, portiamo un po’ di pazienza per oggi; passerà anche questa!”.