Creature del mare

(Andres Roberta)


Stanco, la testa pesante dai racconti pieni di rabbia delle persone che ha incontrato durante il giorno, lo sguardo perso nell'azzurro violento di questo mare, più scuro all'orizzonte poi improvvisamente sfumato nel cielo, il piccolo molo e la sua barca che lo aspettano e lo invitano quasi ad uscire in mare aperto.
Il ventre caldo dell’imbarcazione lo accoglie con una luce soffusa e l’odore conosciuto di chi gli appartiene.
L’uomo sa bene quel che vuole fare, in questa giornata estiva: prendere il vento e allontanarsi dalla riva, mettere a tacere le parole degli uomini, le tante parole che ogni giorno ascolta, sentire il silenzio e il vento, l'odore del mare misto a quello del timo e del mirto che arriva dalla costa.
Così preso ad ascoltare gli altri ha quasi dimenticato molte cose del suo passato.
Amici, incontri, piccoli gesti scambiati con altri; non ha dimenticato però questi odori e questo vento, né ha dimenticato di tornare a casa ogni anno, ed è già tanto.
Alla partenza il rumore del motore della barca col suo ritmo tranquillo, costante, sicuro, copre ogni cosa: il suono delle piccole onde che battono la chiglia che comincia a muoversi, l'acqua che si fende per la prua che prende il largo, ma anche l'odore del sale incrostato sui pali del molo e quello un po' marcio delle alghe attaccate alla carena.
E' solo per pochi minuti, ma è pur sempre una esplosione di sensazioni da scacciare al più presto, per riappropriarsi soltanto del rumore del mare e del vento.
L'uomo sopporta, perchè sa che deve allontanarsi da terra se vuole star bene, se vuole lasciare sia pure per poco i legami che lo stringono e liberare la sua curiosità: girare per mare senza strade prefissate, decidere di andare in qualsiasi direzione, cercare il vento giusto e farsi portare, fino a quando gli va.
Il rumore del motore presto svanirà per lasciare il posto al soffio del vento, al leggero sbattere delle vele e al frangere delle onde sullo scafo .
Il colore bianco delle vele si staglia nel cielo a fare concorrenza alle poche nuvole e a contrastare la luce violenta del sole del primo pomeriggio.
Il vento sferza il viso lasciando sulle labbra il sapore del sale e l’odore del mare, mentre gli occhi scrutano l’orizzonte da una parte, la terra dall’altra, lungo la rotta conosciuta, cercata e desiderata nei momenti di maggiore stanchezza.
Ora sì che la terra è lontana, come lontano è il lavoro, i pensieri, le incombenze!
Adesso, col cuore che si riappropria del proprio ritmo, con i pensieri che scendono nello stomaco dando una sensazione di calore, con il respiro che segna, come un pendolo, il tempo, inizia la navigazione.
Avanti e ancora avanti nella distesa turchina, prende il vento e va sempre più veloce, fino a quando intorno è tutto mare e ancora mare, fino a quando della costa è rimasta soltanto una piccola striscia scura dietro di sé, a poppa, così piccola da poter fingere che non ci sia.
E così ora l’uomo prepara l’ancora e la cala, per trasformare la sua barca in un piccolo punto fermo di legno marrone in mezzo a quella distesa liquida in perenne movimento, sé stesso in una creatura marina in mezzo ad altre: in lontananza ha visto un branco di delfini passare veloci; vicino lo scafo, prima di tuffarsi, ha riconosciuto la sagoma tonda e pesante di una tartaruga.

“Ti ho riconosciuto!
Da tempo ti seguo, sento la tua presenza, quasi anche il tuo odore.
Da tempo aspettavo questo momento!
Ricordi il nostro primo incontro?
Io legata ad un ceppo, senza più forze, prigioniera di un vecchio sadico e perverso, tu incredulo mentre ti avvicinavi sospettoso, credendomi morta.
Eri giovane allora!
Io ero già grande, avanti con gli anni e stremata dalla lunga notte passata in quella prigione: di certo non ero bella. Eppure rimasi subito stupita dalle tue attenzioni, dall’amore con cui hai tagliato la corda che mi legava. Le tue mani usavano il coltello con perizia e decisione, attento a non farmi male, mentre biascicavi parole piene di rabbia rivolte al mio carceriere che, fortunatamente per me e per te, in quel momento chissà dov’era.
Mi parlavi quasi sottovoce, come si parla ai bambini per tranquillizzarli dopo un brutto sogno; tagliavi quei nodi e allo stesso tempo inveivi contro di lui aumentando il tono della tua voce per farmi capire che nessuno avrebbe più osato farmi del male.
Non credevo che un essere umano potesse provare un sentimento positivo nei miei confronti. Ero felice della tua rabbia, delle tue attenzioni, del fatto che tu ti eri accorto della mia esistenza.
Da allora quanto tempo è trascorso!
Ti ho rivisto lo scorso anno mentre trafficavi con la tua macchina fotografica.
Io ero là a pochi metri da te accanto al mio compagno e quando ho cercato di attirare la tua attenzione tu eri già sparito.
Finalmente sei tornato ed oggi, malgrado i tuoi capelli radi ed ingrigiti dal tempo, ho riconosciuto il tuo sguardo, la tua curiosità nella ricerca delle cose nascoste.
Giravi, guardavi di qua e di là, attratto dai mille colori del mio mare e dalle sue creature.
Quando mi sono mossa mi hai riconosciuto e ti sei avvicinato timoroso come la prima volta.
Gli occhi pieni di meraviglia mostravano i segni di una commozione profonda.
“Sei tu?” Hai chiesto con la voce tremante.
“Sono io.”
Ho sentito le tue mani su di me e come se il tempo non fosse mai trascorso abbiamo nuotato insieme e giocato come non abbiamo potuto allora, quando entrambi eravamo molto piu’ giovani.
Tu stringevi le tue dita con la stessa delicatezza di allora pur mantenendo una presa forte, sicura.
Io felice di trasportarti dove l’acqua lascia il verde per incontrare il blu del cielo.
Poi, un nuovo addio e di nuovo lontano!
Tu verso la riva perché a terra è la vita dell’uomo!
Io verso il mare aperto perché il mare è la vita di ogni creatura marina.”