Giacomino il 'Caruso'

(D'Agostino Francesco)


Tanto tempo fa, nel Sud della Sicilia, nel territorio di Girgenti, vi erano numerose miniere di zolfo. Dall’ingresso delle miniere si dipartivano una miriade di gallerie dalle volte molto basse. Era questa la ragione per cui, nell’angusta e rischiosissima estrazione del giallo minerale, venivano utilizzati, ma sarebbe meglio dire sfruttati, molti bambini che proprio perché piccini, percorrevano le gallerie con più facilità. Questi bambini venivano chiamati 'carusi'.
La nostra storia ha per protagonista un piccolo 'caruso' di nome Giacomino. Era orfano, solo e povero, l’unica sua ricchezza era un mulo mezzo cieco che a forza di lavorare per lungo tempo in quelle buie gallerie finì col perdere completamente la vista. Il mulo gli faceva compagnia e gli era utilissimo nel suo lavoro. Insieme percorrevano giornalmente i viottoli che portavano alla miniera, e il mulo nonostante la mezza cecità stava attento nello scansare gli smottamenti del terreno tra paratie, puntelli, grovigli di corde e ganci. Arrivati alla miniera, Giacomino entrava nel profondo delle gallerie per raccogliere il minerale nelle ceste che via via caricava sul dorso del mulo, sempre così, su e giù, fino al calare della sera.
Lù patruni di la pirriera (Il padrone della miniera) era un omaccione burbero, Scavafossi era il suo nome, che vigilava continuamente senza tregua sul lavoro dei carusi, facendo schioccare la frusta senza pietà per spronarli ad essere più veloci. I suoi scoppi d’ira erano frequenti e temuti, ma a farne le spese era soprattutto Giacomino, che a volte si tratteneva più a lungo degli altri carusi e ritardava a portare fuori dalla miniera il mulo e il suo prezioso carico. Scavafossi spazientito non capiva perché, a volte, Giacomino tardasse tanto..E giù frustate!. Laggiù, nel ventre della terra, nel buio di quei lunghi cunicoli, rischiarati solo dal suo lanternino, Giacomino scavava e scavava faticosamente nelle pareti di roccia.
A volte, dal minerale frantumato, affioravano grosse concrezioni cristalline, vere e proprie gemme, grandi come il pugno di una mano. Subito Giacomino le staccava liberandole dal materiale più friabile e le avvicinava al lanternino, per rimirarne a lungo le sfaccettature sino a che la visione si confondeva per lasciare apparire immagini di mondi fantastici, città di marmo, cupole maiolicate, campanili, fontane e laggiù, in fondo al viale alberato, al centro della villa comunale, una giostra che girava al suono di una musica festosa. Saltimbanchi, mangiatori di fuoco, musici, ed intorno bancarelle stracolme di giocattoli e dolciumi, un vero ben di Dio! Cambiando l’angolazione della gemma, anche la visione mutava, deformando fortemente le immagini come se si riflettessero negli specchi magici. In realtà erano i grossi lucciconi che non riusciva più a trattenere e che sgorgavano dai suoi occhi. Le lacrime, scivolavano copiose lungo le gote e si trascinavano appresso la polvere di zolfo depositata sulle sue guance.
Improvvisamente, una voce lo fece sobbalzare:
“Ehi, tu, smettila di piangere!”.
Giacomino si voltò di scatto e intravide nel buio un buffo ometto barbuto, sembrava uno gnomo che avvicinatosi lo apostrofò:
“Basta sono stufo di questi stupidi uomini. Non solo hanno distrutto il mio alloggio, ma continuano a sfruttare indiscriminatamente la miniera come se le sue risorse fossero senza fine! guarda qui, cosa avete combinato!”.
L’ometto guardò Giacomino e, d’un tratto rabbonito, continuò:
“Già ma tu che c’entri?..Dì un po’, come ti chiami?”.
“Giacomino”, riuscì a stento a dire nel riprendersi dalla sorpresa con un filo di voce.
“Ed io da questo momento mi chiamerò Castigo e sono lo gnomo posto a guardia di questo luogo che prima era un oasi di pace…Quando penso che per compiere questo scempio utilizzano dei ragazzini, mi va il sangue alla testa!”.
Così dicendo lo gnomo pose una mano sulla spalla di Giacomino, assunse un atteggiamento di complicità e gli sussurrò all’orecchio:
“Mi è venuta un’idea! Guarda qui” e mostrò al ragazzo un oggetto che luccicava nel palmo della sua mano.
“Questo è un diamante purissimo, di grande valore. Sai che facciamo?..Ora io lo butterò in fondo al pozzo che è stato scavato stamattina. Tu corri ad avvisare Scavafossi della tua scoperta, al resto penserò io. L’importante è che tu riesca portarmi quello sfruttatore fin sul ciglio del pozzo..Avrà la lezione che si merita! Vai, Giacomino, vai di corsa!”.
Giacomino si precipitò correndo all’aperto e gridò:
“Patruni! Patruni, presto, venite a vedere..Ho scoperto un grosso diamante, è bellissimo!”.
Scavafossi dapprincipio lo guardò diffidente ma poi, per bramosia, riconoscendo pure di non aver mai visto Giacomino così concitato si convinse e corse assieme a lui dentro la miniera, per poi strisciare carponi in quel tunnel. Arrivato sul ciglio del pozzo osservò alla luce della lanterna il diamante che luccicava sul fondo. Ebbe appena il tempo nel gesto di sorpresa di sollevare le mani e d’inarcare le sopracciglia con le orbite degli occhi strabuzzate, stupefatto da tale fortuna che, improvvisamente lo gnomo da dietro gli diede un grosso spintone facendolo precipitare a testa in giù fino in fondo al pozzo.
Giacomino e lo gnomo ridendo, dapprima lo schernirono elencando tutte le sue malefatte e poi giocherellando uscirono fuori dalla miniera. Giorni dopo li videro aggirarsi nei dintorni di una giostra in occasione di una festa di paese. Loro due, con tutti i bambini festanti, si divertivano finalmente a sparare mortaretti e si rifocillavano di tante ghiottonerie.
Ogni tanto, nelle afose sere d’estate, dopo il frinire delle cicale, pastori e minatori tirano tardi sotto le fronde d’un albero guardando le stelle e riempiendo la notte di chiacchiere. Tra un fresco sorso di vino a giramano c’è chi racconta:
“Mah! Sarà poi vero, che chi passa di notte davanti all’imboccatura della vecchia miniera, sente nel silenzio notturno una voce che pare uscire dalle viscere della terra gridando:
“Giacomino..vieni, io ti perdono..ma fammi uscire da qui! Dopotutto sono sempre l patruni no? Adesso che siamo ricchi tutto cambierà, vedrai! Siamo ricchi, capisci?..Giacominoo!”.