I premio letterario "Una perla per l'oceano"

Notte d'inverno

(Nolli Alessia)


Ana era spaventata. Quelle zampe mulinavano su di lei, con artigli affilati come coltelli. La creatura troneggiava sulla ragazza, ringhiando malvagia. Fili di saliva schizzavano su Ana, mentre lei cercava di arretrare verso un gruppo di abeti.
L’orso l’aveva sorpresa nel sottobosco, in cerca di legna. Era un pomeriggio tranquillo, di quelli con l’aria pungente che sa di neve. Mamma Svetlana aveva chiesto alla figlia maggiore di raccogliere alcuni tronchi secchi nel bosco dietro casa, ma Ana si era allontanata troppo, inoltrandosi nell’oscuro sottobosco.
D’inverno le giornate erano corte, e la sera calava in fretta. Ana aveva le braccia piene di legna, e aveva deciso di tornare indietro, quando un lieve ruggito la fece guardare verso ovest.
Non tirava un filo di vento, e il sole calava dietro le chiome dei pini. Dopo pochi passi verso quel rumore, un’improvvisa valanga di peli si mise a correre verso di lei.
Un’orsa possente e cattiva stava proteggendo un cucciolo poco lontano, e quell’umana era un pericolo da scongiurare.
E così Ana si era ritrovata a correre verso casa, urlando con tutto il fiato che aveva in gola. Correva come una forsennata, saltando tronchi e felci intricate. Non aveva quasi tempo di girarsi indietro, ma sentiva l’orsa rabbiosa che la inseguiva.
La terra tremava sotto le sue zampe, guadagnando terreno sulla ragazzina in fuga. Ana si voltò per l’ennesima volta, con la paura negli occhi e la disperata sensazione di sentirsi una preda spacciata.
E un ramo insidioso spuntò dal terreno, facendo ruzzolare la giovane. La bestia frenò la sua corsa, alzandosi in piedi proprio sopra alla ragazza impaurita. Gli artigli brillarono agli ultimi raggi di sole. Ana cercò di indietreggiare, infine si girò per riprendere la corsa.
L’orsa arrabbiata la raggiunse in pochi balzi, colpendo la ragazza al braccio destro e facendola volare lontano. L’esile corpicino di Ana prese il volo, sbattendo più in là contro un tronco resinoso.
La giovane Galizki vide per pochi secondi delle stelline colorate, prima di precipitare nel buio più completo.
La sera scendeva, e l’animale soddisfatto se ne tornò verso la prole affamata.
La notte russa scendeva, mentre le giornate di gennaio si facevano sempre più fredde. La famiglia di Ana se ne stava attorno alla stufa, mentre una profumata zuppa sobbolliva sul fuoco scoppiettante.
«Dov’è Ana?» Chiese papà Vladimir. «E’ a far legna. Dovrebbe tornare a momenti.» Rispose mamma Svetlana, tranquillamente.
Ma le ore passavano lente, mentre ogni rumore si attutiva nella campagna circostante. «Sveta, sta nevicando! Quanto tempo fa è uscita Ana?»
La moglie non se lo ricordava, ma proprio in quell’istante degli ululati perforarono la notte. Tutte le teste si voltarono verso il bosco, nascosto dietro le persiane chiuse.
Papà Vlad corse a prendere una giacca pesante. «Vado a cercarla.» La preoccupazione sul suo viso convinse i due fratelli più grandi di Ana ad aiutare il padre nelle ricerche.
Mamma Sveta mise un po’ di brodo bollente in un contenitore, e disse alle due figlie più piccole di barricarsi in casa. Poi si avvolse nella sua sciarpa più calda e seguì il marito nei boschi.
La piccola famiglia vagava nel sottobosco, con tre torce ad illuminare il sentiero. Le fiamme danzavano nel vento invernale che aveva iniziato a spirare.
Piccoli fiocchi di neve vorticavano nella sera scura, ma le tracce di Ana si riuscivano ancora a individuare. Si era diretta verso ovest, spezzando rami secchi e spostando aghi e foglie.
Quando la notte calò inesorabile, la neve aveva iniziato ad imbiancare il panorama. Gli uomini iniziarono a chiamare la piccola Ana, sperando di far arrivare la loro voce fino a lei.
La tormenta aumentò d’intensità, rendendo faticoso l’avanzamento nel sottobosco.
Ana era rimasta svenuta per un tempo interminabile, fino a quando aprì gli occhi intontiti. Sbattendoli due o tre volte, cercò di ricordare dove si trovava, Appena si mosse per alzarsi, una fitta intensa si propagò dal braccio destro, facendola rovinare al suolo tra urla di dolore. Un fiotto di sangue uscì copioso dalla ferita inferta dall’orso.
A quella vista, la ragazzina iniziò a tremare dalla paura, dal dolore, dal freddo e dall’irrefrenabile voglia di svenire e lasciarsi andare.
Ma doveva lottare. La notte era scesa, e una neve ghiacciata le sferzava il volto, complice del vento.
Papà Vlad chiamava a gran voce la figlia, ma la furia della tempesta sovrastava ogni parola. Due torce si spensero, stritolate dal vento. Con molta ansia, cercarono di riaccendere le fiammelle, perdendo così tempo prezioso.
Ana tremava, e non riusciva a muoversi dal tronco d’abete. Ogni minimo movimento le procurava un dolore atroce, ma sapeva che non poteva rimanere lì in balìa degli eventi, o sarebbe morta assiderata.
Iniziò a urlare come non aveva mai fatto prima. La voce le veniva strappata via a forza dagli elementi che le infuriavano intorno. Grosse lacrime iniziarono a rigarle il volto, cristallizzandosi sulle guance pallide.
Un ruggito spaventoso fece sussultare la famiglia Galizki. L’orsa feroce si aggirava nei dintorni, sfidando il vento gelido. Piccoli fiocchi di neve coprivano il suo pelo ispido, senza riuscire ad insinuarsi nella pelliccia.
La creatura infernale minacciò i piccoli umani con un ruggito poderoso. La paura di papà Vlad si trasformò in quel coraggio necessario per salvare la famiglia intera.
Una lunga lama balenò tra le sue mani, mentre l’orso si avventava su di lui. Le tonnellate di carne in corsa lo travolsero, facendolo cadere a terra. Il colpo fu talmente violento che tutta l’aria uscì dai polmoni. Il peso dell’orso minacciava di soffocarlo, quando la pelliccia cadde lontano.
I figli di Vlad avevano fatto rotolare l’orso di lato, salvando il padre.
La lama implacabile troneggiava fiera nella pancia dell’orsa senza vita. La fortuna aveva arriso ai temerari. Ripresero le ricerche, lasciando l’animale riverso nella neve.
Un filo di sangue sporcava tutto quel candore, subito coperto da nuovi fiocchi di neve.
I ragazzi ricominciarono a chiamare la sorella, ma Ana era ancora lontana. Era riuscita a non riaddormentarsi, ma non poteva muoversi dal dolore che sentiva al braccio ad ogni movimento.
Improvvisamente le sembrò di sentire una voce, un urlo lontano, portato subito via dalla tempesta.
Ricominciò ad urlare, finché papà Vlad la sentì nel vento. Cercarono di seguire quel flebile richiamo, urlando in risposta il nome della fanciulla.
E poi, dietro ad un tronco pieno di muschio e neve, videro Ana rannicchiata e tremante tra le radici di un pino.
La madre la coprì con delle coperte, abbracciandola felice. Gli uomini cercarono dei rami per fare una slitta, così da non dover portare Ana in spalla. Avevano visto il braccio rotto della ragazza, che si era messa ad urlare al solo tocco leggero da parte delle amorevoli mani di mamma Sveta.
La slitta improvvisata fu pronta in poco tempo, e Ana bevve avidamente il brodo tiepido che la madre le aveva portato. Poi si sdraiò sui rami flessibili, al caldo sotto le coperte di lana.
Il ritorno fu più breve, anche se la visibilità nella tormenta era ridotta a pochi metri.
Ma i Galizki sapevano orientarsi, conoscendo a memoria ogni tronco d’albero di quella foresta.
Un ululato vicino spezzò il rumore del vento, e papà Vlad mosse la torcia davanti a sé.
Piccoli occhi rossi li fissarono tra le felci. Non attaccarono il gruppo di umani, che passarono indenni tra un piccolo branco di lupi assiderati.
Ana riuscì ad entrare in casa dopo diverse ore di freddo e ricerche continue. Le sue sorelline la aiutarono a scaldarsi, ma il braccio avrebbe avuto bisogno di tempo, cure e riposo.
La pericolosa serata si era risolta senza problemi, ma nessuno si sarebbe più avventurato nel profondo sottobosco, da solo e con una bufera in arrivo.
L’inverno russo non perdona nessuno. Ana se lo sarebbe ricordato per tutta la vita.