Magia e stupore in cento giorni

(Perri Rolando)


Nata nel periodo intercorrente tra le due grandi guerre, in una famiglia modesta che riusciva appena a sbarcare il lunario, Ilaria, donna dalla bellezza verginale e non affettata al netto di ogni cosmesi, peraltro inimmaginabile per lei, viveva una condizione subalterna come tutte le sue coetanee e il genere femminile nel suo insieme.
La donna, nel ventennio fascista, veniva vista alla stregua di una macchina riproduttrice, di figli, per irreggimentarli e mandarli sul fronte di guerra nella spericolata corsa della Nazione ad assicurarsi un posto al sole fra le grandi potenze.
Ilaria non sfuggiva alla ferrea legge di un ruolo che era stato acconciato come un abito su misura da indossare, malgrado gli sforzi sovrumani di lei, nel tentativo estremo di liberarsene, di mutarlo nel colore e nella foggia. Ella proveniva da una famiglia numerosa, e parimenti pletorica era la figliolanza messa al mondo dopo che era passata dalla tutela di suo padre, capofamiglia e padrone, alla sudditanza di un marito amorevole, ma pur sempre fermo nella concezione di una disparità di genere talmente manifesta.
Non si era macchiata la mano destra con l’inchiostro nero di un pennino, né aveva sentito l’odore della polvere di gesso, non aveva toccato con le sue dita la superficie levigata d’ardesia di una lavagna: ella mai era entrata in un’aula scolastica per le condizioni economiche familiari e per il discrimine di essere donna. Tuttavia, in compenso, aveva avvertito il pe-so oberante di molte gravidanze, quasi sempre portate a termine. I segni visibili erano tutti lì per essere osservati, in un corpo fiaccato, in parte sformato, che aveva perduto il suo originario splendore, e aggredito da un invecchiamento precoce e incipiente a indicare il contrasto evidente tra la sua età reale e quella messa in vetrina agli occhi altrui.
Da alcuni anni su di lei si era abbattuta anche la scure della malasorte, quando il marito, Carlo, impiegato modello negli uffici dell’archivio comunale di Monserrone, si era spento improvvisamente. Le responsabilità di Ilaria si moltiplicavano nel reggere a una situazione precaria con una prole di sette figli, tutti da sfamare. La pensione di reversibilità era alquanto irrisoria, ma la vedova aveva una forza interiore inesauribile e un’intelligenza viva, creativa e intraprendente. Decideva così di gestire un negozio di generi alimentari che aveva messo in piedi con i pochi risparmi a disposizione.
Il fatto straordinario era tutto collegato alla sua capacità di svolgere un’attività commerciale senza che ella avesse la minima conoscenza teorica di carattere contabile, non un briciolo di quell’aritmetica, seppure elementare, impartita nelle scuole. Ilaria sopperiva al deficit di non saper leggere, scrivere e far di conto con strumenti empirici, che ottenevano pure risultati apprezzabili sul piano concreto.
La prole, costituita da sei figlie e dall’ultimogenito, Lorenzo, non contribuiva al sostentamento della famiglia. Alcune di loro aspettavano un buon partito per maritarsi e togliere un peso specifico elevato nell’economia di quella casa. Qualche altra aveva appreso da poco un mestiere declinato al femminile.
Solamente una lavorava in un piccolo opificio per la trasformazione dei prodotti della terra. Nessuna aveva studiato.
Rimaneva l’ultimo nato, Lorenzo, ormai divenuto preadolescente, il quale non sentiva ragione in risposta ai suggerimenti di mamma Ilaria nell’essere sollecitato a imparare il mestiere di sarto. Egli era andato, ma solo per qualche settimana, nella bottega di un cucitore conosciuto a Monserrone per le eccelse qualità messe in campo in quell’arte giudicata sopraffina e richiesta abbastanza sul mercato, insomma, una griffe ante litteram. Lorenzo rifiutava testardamente l’idea di diventare un apprendista in quel mestiere: voleva soltanto studiare e lo ripeteva a chiare lettere a sua madre. La donna si disponeva di buzzo buono per rispondere alle aspettative e ai desideri del ragazzo, centuplicando i suoi sforzi nel lavoro di negoziante, che veniva svolto senza soste durante tutti i giorni della settimana, comprese le domeniche e le feste comandate, e risparmiando su alcune spese non necessarie.
Il cammino dello studente si profilava regolare, profittevole e soddisfacente dalle elementari, attraverso la scuola media frequentata nel paese di residenza, sino al conseguimento del diploma magistrale in un istituto superiore del vicino capoluogo di provincia. Il giovane diventava maestro elementare con pieno merito e con altrettanto valore superava il concorso pubblico di accesso alla carriera per l’insegnamento in quel grado di scuola.
Lorenzo assumeva servizio in una scuola periferica del luogo di nascita a partire dal primo di Ottobre, quando le lezioni iniziavano in tale mese e, al termine di quest’ultimo, percepiva il suo primo stipendio. Tornato a casa, si rivolgeva alla madre, dicendole: “Mamma, è la prima volta che ho soldi in tasca, miei e guadagnati con il lavoro. Quale regalo posso farti come segno di riconoscenza per i tuoi sacrifici?”.
La signora Ilaria, senza esitazione, rispondeva:” Lorenzo, da te non voglio regali materiali che hanno un valore effimero e riduttivo, ma un dono più grande: insegnami a leggere e scrivere!”.
Il maestro Lorenzo intraprendeva l’opera di alfabetizzazione di sua madre nel mese successivo. Dopo più di cento giorni, la vedova aveva appreso le nozioni fondamentali del leggere e dello scrivere. Successivamente, a distanza di altri cento giorni, leggeva e scriveva speditamente. Quanto al far di conto, per lei era come passeggiare sotto il cielo stellato agostano.
Ilaria usciva così dal tunnel dell’analfabetismo strumentale grazie al figlio e alla sua tenace volontà di donna indomabile. Aveva assaporato, per la prima volta dopo tanti anni vissuti nel buio dell’ignoranza, la gioia incommensurabile e luminosa di vedere e di interpretare i segni della comunicazione con il resto del mondo.
Si sostanziava, finalmente anche per lei, la conquista di una fetta del diritto alla felicità come per ogni altro essere umano: il rito magico e stupefacente della lettura e della scrittura, che si rinnova, ogni anno, per milioni di persone nel loro primo approccio alla vita di relazione.
Magia e stupore, senza i quali l’umanità sarebbe più povera.