Suor Aldina

(Cagnacci Marzia)



Camminava come se avesse una meta ben precisa, un appuntamento a cui arrivare puntuale. In realtà doveva solo trascorrere quelle ore: poche se paragonate ad una vita ma eterne se vissute con l'ansia dell'attesa di un risultato dal quale dipendeva quella di suo marito. E la sua! Aveva appena chiuso il telefono. Un'amica l'aveva chiamata per distrarla, per darle coraggio. Le aveva raccontato che si trovava a casa e l'estetista, venuta appositamente, le stava facendo le manicure. Le venne da pensare quanto fosse diversa la vita di ognuno. L'amica era alle prese con la cura della propria persona, lei vagava come un fantasma tra i vicoli della Firenze storica in attesa della telefonata di suo marito. Erano rimasti d'accordo che appena fossero venuti a prenderlo l'avrebbe avvertita con uno squillo del cellulare. Guardava tutto intorno a se ma ciò che vedeva le scivolava sulle pupille senza entrarle dentro, come su di una superficie di vetro bagnata. Si sentiva gli occhi umidi ma non voleva darla vinta alle lacrime; dovevano tornare indietro! Erano le nove del mattino e l'aria frizzante. Si addentrò tra le bancarelle del piccolo mercato rionale ma i suoni e i colori non riuscivano a distrarla. Il pensiero era sempre lì, fisso nella mente, pesante nel cuore. Fino ad una settimana prima tutto procedeva regolarmente: casa, lavoro, week-end al lago con suo marito e Luna il loro cane. Poi all'improvviso quel malore, breve, quasi insignificante. Era sempre stata molto apprensiva nei suoi confronti e aveva dovuto insistere perché si recasse dal medico. L'ultima settimana era trascorsa con la velocità che assume il tempo quando gli eventi sovrastano e non danno la possibilità di pensare. O forse non si vuole pensare, per non stare male, per convincersi che tutto andrà bene, che essere ottimisti conviene tanto poi la situazione si risolverà per il meglio. Crederci è l'unico modo per resistere! Si fermò di fronte ala piccola bottega di un artigiano. La vetrina piena di cornici di tutti gli stili e dimensioni. Fu attratta da una in foglia oro molto lineare, con gli angoli lavorati ad intarsio. Si immaginò dentro quella il volto suo e di suo marito, sorridenti, sereni! Insieme! Chissà se sarebbe stato ancora possibile per entrambi sorridere così. Poi c'era quella sensazione di dejà vù che dal giorno prima non l'aveva più abbandonata: la faceva sentire inquieta ma protetta allo stesso tempo. Alzò lo sguardo al cielo. Poco più in là la cupola di San Lorenzo superava i tetti delle case con la sua bellezza architettonica. Bastava allungare le mani e avrebbe potuto accarezzarla! Chiuse gli occhi e provò ad immaginare come sarebbe stato. Avvertì sui palmi una sensazione di calore e le braccia si allargarono sempre più nel seguire la linea della cupola. Si sentì espandere nello spazio sopra la piazza del Duomo, inconsistente e leggera come una nuvola poteva muoversi al di sopra di tutti i mali del mondo e regalare una sensazione di morbida purezza a chi da sotto, con il naso all'insù, tentava di capire che forma avesse in quel momento! Riaprì gli occhi e decise di rientrare in camera. Voleva restare sola, nascosta al mondo; le avrebbe tenuto compagnia il grande pino marittimo nel giardino che con i suoi rami protesi verso la finestra pareva volesse abbracciarla. Un miracolo che quell'albero fosse riuscito a vivere e crescere nel centro di una città lontana dal mare! Ma anche i miracoli a volte avvengono! Giunta di fronte al portone del grande palazzo antico, sede del convento delle suore dell'ordine di S. Caterina da Siena, suonò il campanello. Dopo pochi istanti il portone si aprì,lo spinse ed entrò. Mentre attraversava il grande atrio dai pavimenti di marmo e i soffitti altissimi la sensazione di essere attesa la investì di nuovo, come il giorno prima quando su indicazione dell'impiegata dell'accettazione della clinica si era recata per la prima volta a chiedere se avevano una camera libera. Le due suore addette alla reception la salutarono con un sorriso gioviale e una di esse le tese la chiave della sua stanza. La prese senza distogliere lo sguardo dalla suora. Compì quel gesto lentamente per poterne più lungamente osservare la fisionomia e le movenze. Aveva la sensazione forte di conoscerla come una persona a lei familiare, sempre presente nella sua vita. Salendo le scale e percorrendo i corridoi fino alla sua stanza si rese conto che non ne conosceva nemmeno il nome! La camera era molto semplice: un armadio a due ante in legno del primo “900 circa, uno scrittoio e una sedia anch'essi in legno ma molto più recenti. Sopra i due letti da una piazza con le testate in acciaio tubolare come quelli degli ospedali di quando era piccola, due coperte bianche tessute al telaio a mano. Entrando si respirava un'atmosfera tranquilla che sapeva di pace e di pulito. Si affacciò alla finestra che dava nel giardino interno del convento. Il grande pino dominava al centro. Tutt'intorno aiuole fiorite e vialetti lastricati conferivano un'aria ordinata e accogliente. Restò un po' così ad ascoltare il fruscio del vento e il cinguettio dei passeri che ogni tanto si posavano a terra per beccare invisibili granelli e poi spiccavano di nuovo il volo rapidi e liberi. All'improvviso tra quei suoni pacati di una natura in pace con se stessa si insinuò, prima tenue poi sempre più alto, lo squillo del cellulare. Era suo marito. Erano venuti a prenderlo. Lo salutò mentre il cuore le strozzava la gola: “A dopo, ti amo”. Afferrò la borsa al volo mentre usciva di gran fretta dalla stanza. C'era ancora tempo ma voleva recarsi subito nella sala d'aspetto dove sarebbe venuto il medico a chiamarla dopo l'esito della coronografia. Le pareva così di accorciare la distanza che la separava dal sospiro di sollievo che avrebbe tirato quando il medico le avrebbe comunicato l'esito positivo. A mezzogiorno! A quell'ora l'incubo sarebbe finito! Ripercorse a ritroso i lunghi corridoi di poc'anzi. Ripensò a poche ore prima. Di buon mattino era scesa giù. Le suore erano nella cappella a pregare e per poter uscire, un cartello alla reception avvertiva di suonare il campanello e una di loro sarebbe venuta ad aprire. Suonò e la “sua suora”, come lei la chiamava dentro di se, apparve sorridente. Estrasse la chiave dalla tasca ed aprì il grande portone che di solito veniva azionato automaticamente. Provò forte la sensazione di abbracciarla ma si trattenne. Le pareva un gesto troppo azzardato e sconveniente. Oppure era solo una scusa! La sua innata riservatezza le impediva di lasciarsi andare apertamente a manifestazioni di affetto. Si limitò a spiegarle che a quell'ora il turno di portineria in clinica era scoperto e con un po' di fortuna sarebbe riuscita a salire su in reparto e vedere suo marito prima che avesse inizio l'esame. Sapeva che rischiava di prendere una sgridata dalle infermiere, ma valeva la pena tentare! La suora le strizzò un occhio con aria complice, le diede una pacca sulla spalla spingendola fuori a mo' di incoraggiamento e dicendole: “Osa e non temere!” Quelle parole le arrivarono dritte al cuore. Ne avvertì tutta la potenza e la sincera partecipazione! Senti il sangue scaldarsi dentro le vene ed iniziare a circolare velocemente. Una scarica di ottimismo la pervase. Come quando dinanzi a qualche problema da affrontare sua nonna la incoraggiava con poche parole ed un sorriso e lei si sentiva forte e sicura di se!
Giunta nell'atrio porse la chiave alle suore che le sorrisero con gli occhi comprendendo il suo stato di ansia. Suor Aldina finse di attardarsi a prendere la chiave e rivolta alla sorella disse. “Sai che ha fatto stamattina questa signora quando è rientrata dalla visita al marito? E' venuta nella sala della colazione dove stavo riordinando e mi ha aiutata a sparecchiare e insieme abbiamo portato le stoviglie in cucina, poi ha steso sui tavoli le tovaglie pulite. E' stato molto bello sbrigare le faccende in sua compagnia” L'altra sorella si girò verso di lei stupita e compiaciuta! “Che brava che è stata!”
Rimase stupefatta di quanto era stato apprezzato quel suo piccolo aiuto che come aveva spiegato alla suora le serviva per ingannare un po' il tempo che quella mattina pareva si fosse fermato. Mentre riordinavano insieme la sala della colazione si fece coraggio e le chiese quale fosse il suo nome:
“Suor Aldina” rispose la suora con fare incredulo che a qualcuno potesse interessare come si chiamava. Probabilmente era abituata a veder arrivare e partire tanta gente, tutti indaffarati e presi dai propri problemi e a nessuno interessava nulla di lei. La vedevano solamente come suora e in quanto tale le riservavano una atteggiamento rispettoso e distante. Adesso quella signora con fare semplice e confidenziale le stava chiedendo pure se era di Firenze o venisse da un altro luogo. “Sono di Pescara e mi trovo in questo convento da pochi anni. Mi occupo della reception, della sala della colazione e del giardino. Siamo rimaste in poche e c'è molto da fare”. Seguirono alcuni minuti di silenzio durante il quale le parve di essere tornata indietro di qualche anno quando ancora c'era sua nonna e restare insieme a lei la faceva sentire serena, protetta. Suor Aldina si muoveva velocemente tra i tavoli ad un certo punto si fermò, alzò la testa e guardandola negli occhi, con la sua voce dal tono fluido e pacato le disse : “Che meraviglia che è lei!” Quell'inaspettato apprezzamento nei suoi confronti la fece sentire leggera come se all'improvviso tutta la sua preoccupazione fosse svanita, mai esistita!
Poi aggiunse: “Adesso qui abbiamo finito. Lei esca un po' in giro per distrarsi. C'è il mercato poco distante. Ci vada! Mezzogiorno arriverà presto! Io andrò in giardino, ho dei lavoretti da sbrigare!
Adesso stava varcando di nuovo la soglia del convento. Attraversò la strada. La clinica si trovava proprio di fronte. Informò l'infermiera che si sarebbe accomodata in sala d'aspetto. C'era altra gente. Prese posto in una sedia nella fila di fronte alla porta. Avrebbe subito visto il medico non appena fosse entrato.
Dodici rintocchi risuonarono dal campanile di S. Lorenzo poco distante. Ad uno ad uno lì sentì amplificarsi dentro al cuore fino a dilatarlo in uno spasmo di dolore. Adesso la sua sicurezza stava defluendo come un'emorragia che velocemente toglie le forze e la paura le serrò la gola. Chiuse gli occhi! Nel tempo dell'attesa la speranza l'aveva sorretta. Di fronte all'imminente verità, l'aveva abbandonata. Uscì dalla sala, si diresse verso l'infermiera chiedendole perché il medico non si fosse ancora presentato. Questa la rassicurò che appena possibile sarebbe venuto a parlarle. I sessanta minuti che seguirono le impressero indelebile nella mente il concetto di eternità.
Impiegò diversi secondi per capire che il cellulare che stava squillando era suo. “Over the horizon” la scosse dallo stato di assenza temporanea, nel quale si era rifugiata, a quello cosciente. Nello schermo apparve il nome di suo marito. Aprì la chiamata “ Ciao, mi hanno appena portato in camera. Tutto bene. Sta venendo il medico da te. Ha detto che ti avrebbe fatto salire qualche minuto”. Alzò la testa e vide un uomo brizzolato con il camice bianco venirle incontro. Scambiò un cenno con l'infermiera e capì che era lei la moglie del suo paziente. Si presentò e la fece accomodare nella saletta accanto cedendole il passo. Chiuse la porta, girò intorno alla scrivania invitandola a sedersi e prese posto pure lui. Il tutto avvenne in pochi istanti ma le sembrò che il medico si muovesse con una lentezza snervante. Aveva un'ansia tremenda di conoscere l'esito dell'esame e soprattutto perché c'era voluto molto più tempo. Cosa era successo dopo? Sì, suo marito in quei brevi istanti al telefono l'aveva rassicurata, ma si sa, poi quando i medici parlano mettono sempre al corrente di situazioni mai immaginate o magari fortemente temute!
Il medico fu chiaro e diretto:
-“Suo marito ha rischiato molto! Non riesco a spiegarmi come sia arrivato vivo tra le mie mani e nemmeno come si sia riaperta un'aorta ridotta in quelle condizioni! Siamo di fronte ad uno di quei casi che sono il fascino e il mistero del corpo umano! Adesso è fuori pericolo. “
Invece di sentirsi sollevata da quelle parole le sembrò che qualcosa di pesante le fosse piombato addosso e le impedisse di muoversi.
Il pericolo di perderlo l'aveva sfiorata così da vicino e non se ne era accorta! La risata beffarda della morte le aveva alitato sul collo e non l'aveva udita! Aveva tentato di insinuarsi tra loro e separarli e non aveva avvertito la sua presenza strisciante! Come aveva potuto essere così sorda e cieca! Adesso, invece che seduta di fronte al medico che aveva ridato la vita a suo marito per la seconda volta, poteva trovarsi a casa, sola, mentre tentava di ricordarne lo sguardo che si posava su di lei; l'abbraccio della sua voce che la circondava; l'odore delle sue sigarette che lo seguivano ovunque. Un fremito le percorse le gambe, salì fino al cuore accelerandone i battiti e impregnò i suoi occhi di lacrime che spingevano per uscire fuori combattendo con la sua volontà di cacciarle indietro, insieme a quella sorta di terremoto che aveva fortemente scosso il suo equilibrio interiore.
Il medico si accorse dell'emozione che l'aveva investita e come se le leggesse nel pensiero aggiunse
-:”Stia tranquilla non c'è niente da temere! D'ora in poi la vita seguirà il suo corso meglio di prima! Adesso salga pure in camera qualche minuto per salutarlo! “
Velocemente strinse la mano al medico ringraziandolo con poche parole ma sincere, uscì dalla stanza e salì di corsa le scale che portavano al reparto con la stessa foga di un bambino che ha appena rubato il vasetto della marmellata e cerca un posto dove mangiarla prima di essere scoperto!
Lo vide! Aveva l'aria trasognata come se fosse arrivato da un altro pianeta. Sembrava tranquillo. Si avvicinò. I loro sguardi si incrociarono. Lui alzò il braccio sinistro e si passò la mano sulla fronte calandosela sugli occhi. Le lacrime iniziarono a scendergli lungo le guance Era la prima volta che in trent'anni di vita insieme lo vedeva piangere. Le fece un'immensa tenerezza. Tutta la paura che si era tenuto dentro negli ultimi giorni adesso poteva buttarla fuori, non fingere più che non stesse per succedere niente di grave. Avrebbe voluto abbracciarlo per fargli sentire la sua presenza, per sentire che lui c'era. Non poté. Il tubicino della flebo e i fili dell'elettrocardiogramma non le permisero di avvicinarsi. Lui girò la faccia dall'altra parte. Non voleva farsi vedere in quello stato.. Lei comprese e fu pervasa da una gioia infinita: poteva piangere a quel modo perché era salvo! Lui le disse di tornare più tardi. Lo salutò sorridendo e uscì fuori trascinata da un'improvvisa voglia di vivere. Si sentiva leggera come da tanto non le accadeva. Era avvenuto un miracolo! Dio e la scienza le avevano risparmiato un dolore che l'avrebbe segnata per sempre! Non solo! Dio aveva voluto che nemmeno avesse il tempo di soffrire per la paura di provare un tale dolore! Adesso stava esultando per una gioia che le era piovuta addosso senza doverne pagare pegno! Con qualche attenzione in più da parte di suo marito alla propria salute la loro vita insieme poteva continuare! Si sentì un po' in debito con quel Dio che non cercava mai! Era stato così tanto generoso nei suoi confronti! L'assalì lieve un senso di colpa che volle relegare in un angolo dei suoi pensieri. Ci avrebbe riflettuto con calma!
Rientrò al convento. Alla reception c'era suor Aldina! Come la vide le sorrise strizzando i suoi piccoli occhi. Pareva che tutta la sua luce interiore uscisse fuori da questi, accentuandone la limpidezza e trasmettendo una sensazione di pace. Avrebbe voluto abbracciarla ma il banco della reception le divideva. Chissà perché la vita mette sempre in mezzo degli ostacoli anche nei momenti di intima gioia come una sorta di ammonimento, di paura a viverli fino in fondo, di pudore a scoprirsi l'anima e mostrarla agli altri come se la riconoscenza per l'affetto ricevuto fosse un segno di debolezza! Ma questa era un'occasione speciale, doveva seguire il suo istinto, vincere le sue remore!.Ci pensò un attimo di troppo e Suor Aldina vedendola incerta disse:
-”Adesso vada nella sala della colazione. Ho lasciato un vassoio con delle brioches e dei biscotti e accanto il cesto con le marmellate e il burro. Mangi qualcosa e vada a riposarsi!
Nel dire questo si incamminò lungo il corridoio precedendola per accompagnarla.
Le tornò in mente quando da piccola sua nonna togliendole il termometro le diceva:
-”La febbre è passata, adesso resta a letto che ti porto il tè con i biscotti!” Sorridendo strizzava gli occhi e si dirigeva verso la cucina. Si sentì di nuovo bambina, accudita e amata. Una sensazione che negli anni aveva perduto; le era rimasta solo nei ricordi d'infanzia. Divenuta adulta aveva dato per scontato che non aveva più bisogno delle dimostrazioni di affetto che riceveva da piccola; adesso toccava a lei darne agli altri e lo faceva spontaneamente, con la mente, con il cuore ma non con i gesti e non a tutti e non sempre arrivava il messaggio che lei inviava: sincero, sentito ma privo di quell'approccio fisico che rende tangibile un sentimento.
Due giorni dopo suo marito fu dimesso.
Quella mattina, dopo aver fatto colazione come al solito, tornò in camera e raccolse le sue cose nella valigia. Sarebbe scesa giù a saldare il conto. Le suore erano state avvisate la sera prima della sua partenza. Aveva visto dalla finestra Suor Aldina in giardino a sbrigare alcuni lavoretti di pulizia e potatura delle piante. Voleva passare da lei per salutarla. Era tentata di scattarle una foto da lì. Poi pensò che era meglio chiederglielo. Magari se ne sarebbero fatta fare una insieme. Prese la valigia e per l'ultima volta percorse quei corridoi dall'arredamento semplice e spartano su cui si affacciavano una dopo l'altra quelle che in passato erano state le camere delle sorelle di S. Caterina. Le sembrava di vederle entrare e uscire con il loro copricapo svolazzante e udire le loro voci cristalline. A metà percorso si trovò davanti alla porta che accedeva al giardino. Posò la valigia e uscì fuori. Il grande pino marittimo stendeva i suoi rami come una chioccia che allarga le ali per richiamare i suoi pulcini. Intorno vasi di gerani dai vari colori si aprivano al sole di maggio. Si avvicinò a Suor Aldina che nel vederla aveva smesso di potare il suo arbusto. Si trovarono una di fronte all'altra. Si abbracciarono. La suora la cinse con una forza incredibile:- “Sono felice che sia andato tutto per il meglio. Tornate a casa sereni. Nostro Signore non abbandona mai le sue creature.” Sciogliendosi dall'abbraccio le sorrise strizzando i suoi occhi e anche l'aria intorno ne sembrò purificata. Non aveva bisogno di scattarle una foto. Ce l'aveva già. Dentro al suo cuore.
Indelebile. Per sempre!