Io la amo, il resto che importa?

(Giordanelli Gerardo)


Tutto iniziò quella mattina di un anno fa sul filobus. “Io la amo, il resto che importa?”, sbuffò Walter, stufo dei miei reiterati inviti alla ragionevolezza. So tutto su quella storia di innamoramento in bianco, come la definirono gli amici, tutto su quel sublime corteggiamento di Walter per Carlotta, la mia attuale compagna; eppure sento il bisogno di ripercorrerla, aiutandomi con delle foto.
Non che tema insidie per la mia relazione; è che, negli anni, mi sono spesso chiesto se Walter fosse un folle o se io mi stessi perdendo qualcosa. Lui e io siamo amici da lungo tempo, sin da ragazzi. Ricordo ancora i pomeriggi assolati nella sua ampia e luminosa casa nel cuore della città vecchia, sul lungofiume lastricato con quei grossi ciottoli lisci e antichi, lucidi ma con gli interstizi striati dal verde dell’umido e dei muschi: il riverbero sul fiume al tramonto, la fragranza di zagare e gelsomini che risaliva dal giardino, le note soffici dello swing di Benny Goodman; e, poi, i quadri, i libri, il pianoforte. Uscendo, superavamo vicoli, archi e scalinate, indugiando negli angoli più suggestivi del centro storico, ripercorrendo i luoghi in cui si erano forgiate la storia e l’anima della città.
Poi, Walter cominciò a divagare, a farsi del male anche, all’Università e sul lavoro. Mi tenne costantemente informato su turbamenti e inquietudini, e io, il buon Guglielmo, il saggio depositario dei suoi segreti, cercavo di frenarlo, di consigliarlo. Finché non intervenne quella novità. Più d’uno eravamo innamorati di Carlotta, ma lei, inaspettatamente, scelse Alberto. Si sposarono. Io, com’era giusto, mi ritirai in buon ordine; ma Walter, cominciò ben presto a corteggiarla, con tatto e discrezione.
Gli eventi precipitarono in un luminoso pomeriggio di primavera, sul Corso Plebiscito. Walter passeggiava lungo l’alto belvedere sul fiume. La città vecchia era baciata dall’alito soffice e caldo del sole. D’intorno, la suggestiva chiesetta di rito bizantino, le botteghe, il silenzio, le vecchie insegne, la piccola stazione dei treni locali, la pittoresca littorina che sbucava con una curva dal ponte in ferro sul fiume: Walter si sentiva in estasi, rapito in un’altra dimensione, come se avesse afferrato la coda di una cometa " così mi disse sul bus. Fu allora che vide Carlotta attraversare il Corso verso i negozi di ceramiche. Voltava le spalle al tramonto e un raggio di sole, insinuatosi fra i tetti, l’accompagnava polveroso e compatto. Agile e lieve, camminava come avvolta in una nube dorata.
Per Walter, incontrarla allora, nello scorcio che era diventato il rifugio delle sue irrequietezze, fu un’illuminazione, un’immediata simbiosi. Ne mise a fuoco il viso, la figura, l’animo. Di Carlotta, ripercorse in un attimo i gesti, le parole, gli sguardi che lo avevano accompagnato, inavvertitamente, in tutti quegli anni. Rivide, poi, la propria vita, i tumulti, le mani improvvisamente malferme, le gambe che da sole avevano preso a muoversi, ad attraversare il Corso. Non aveva dubbi, la amava ma, soprattutto, amava, per la prima volta, e la fonte era lei, Carlotta " disse Walter ad alta voce, fra lo sconcerto mio e l’accorata partecipazione di alcuni passeggeri.
Quel giorno, sul filobus, proprio di quell’inopportuno corteggiamento stavamo parlando. “Io la amo, il resto che importa?”, sbottò infine Walter, rigettando d’un colpo tutte le mie assennate osservazioni. Già, il resto: Carlotta era sposata con Alberto ma Walter non intendeva affatto tentarla, però nemmeno rinunciare ad amare; sosteneva di non poter fare a meno di vederla, starle vicino, parlare con lei, pensare a lei, ma temeva che un eventuale rifiuto di Carlotta potesse sciupare tutto, o che l’amore, se corrisposto, rischiasse di evaporare al contatto con la vita di coppia e le miserie quotidiane. Era una condizione esaltante, la sua, estetica, diceva addirittura, che gli permetteva di squarciare l’apparenza delle cose e penetrare l’anima dei dettagli. Amava, finalmente; ogni mattina andava incontro alla vita sorridendo. Perché doveva rinunciarci? Con il suo sentimento, che c’entrava Alberto o il matrimonio o l’assenza di rapporto fisico? Il resto, insomma.
“Abbassa la voce”, mormorai. Altri passeggeri si erano avvicinati incuriositi e, tenendosi ai sostegni, seguivano attenti la nostra conversazione. Dal bus, si vedeva la città dall’alto: “Anche Cosenza è stata edificata su sette colli!”, ammiccai per distrarlo. “Colli meno sacri e fatali, certo, ma pur sempre sette”. “Amo, capisci?, e per la prima volta!”, sussurrò avvicinandosi al mio viso, tanto che mi aspettavo, come nell’avanspettacolo di un tempo, che qualcuno dal pubblico gridasse: “Voce, non si sente!”.
Disse che, da innamorato, stava vivendo tante altre storie, aveva imparato ad apprezzare l’indugio e i preliminari e che mai prima aveva fatto l’amore così bene. Si avventurò in una descrizione tanto accurata che dovetti fermarlo, prima che i nostri spettatori venissero rimescolati da un uragano ormonale! Ci divertimmo a immaginare il bus, quasi come la carrozza di Madame Bovary, scorrazzare per le vie cittadine con il suo carico improvvisato di passeggeri goderecci e senza freni!
Con la separazione di Carlotta, Walter sospese il suo ineffabile corteggiamento. Temeva che Carlotta potesse trovarsi in una tale condizione di vulnerabilità e debolezza da indurla a interrompere la forzata solitudine. Non era questo che lui cercava. Eppure, continuava ad amarla.
Ad un anno da quella conversazione sul filobus, Walter ha da qualche settimana sposato Elvira, portando finalmente un po’ di ordine nella sua vita; proprio in quei giorni, Carlotta e io stavamo mettendoci insieme. Sfoglio il piccolo book delle foto della cerimonia, preparato da Walter per gli amici. Mi soffermo su una in particolare. Carlotta e io siamo con gli sposi, che appaiono contenti e provati: Elvira, in particolare, guarda commossa e intenerita verso l’obiettivo, incapace di tenere a freno le emozioni. Carlotta ride verso di me, tenendomi una mano sul petto; io con un braccio le cingo divertito le spalle nude. Walter, col busto proteso in avanti, ci guarda sorpreso, ma con un sorriso che, oggi lo so, era sardonico, luciferino. E, ora, eccomi qua, alle prese con Walter ritornato discreto, corretto, leale; ma sempre fra i piedi! E mi tocca pure tranquillizzare Elvira…