il canto di Odisseo

(Mazzotti Samuele)


Ho sempre avuto una grande attrazione per il mare e per i fari, penso che sia una questione di DNA, fin dalla generazione del padre di mio padre siamo stati marinai.
Quel ramo della famiglia è nata, vissuta e morta sul mare. Mio nonno, colò a picco col mercantile, doveva essere e lo fu il suo ultimo viaggio.
Dopo la morte di mio nonno, Sauro il suo secondogenito decise di smetterla col lavoro sui mercantili e divenne il nuovo guardiano del faro del paese di Bacucco.
Lo so suona strano dire di essere il guardiano del ‘Faro del Bacucco’, però è proprio li che scelse di vivere. Io non ero ancora nato, ma ero di certo nei loro pensieri. Mia madre veniva da un paese della bassa, un paese dell’entroterra circondato da un bosco, suo padre era un famoso mediatore, un sabato aveva bisogno di un paio di braccia in più e non avendo avuto figli maschi, mise sul carretto la sua figlia più piccola, lasciando le altre due a casa con la madre a seguire i campi. Aveva avuto l’incarico dal Conte Astulfo di Alfonsine, di recarsi a Bacucco e di vendere al miglior offerente, un carico di maiale in salamoia ai marinai in partenza per la pesca invernale. Mia madre rimase affascinata dal mercato ittico ed anche dal mare, non lo aveva mai visto e credeva fosse un grande lago. Dopo la vendita, lei ed il padre andarono a mangiare col Conte all’osteria vicino al faro, mentre gli adulti finivano di fumare e di raccontarsi le ultime novità, la piccola Anna andò a giocare fuori. Con sua grande meraviglia, vide quel manto azzurro turchese stagliarsi di fronte ai suoi occhi, togliendosi le scarpe e i calzini bianchi, raggiunse la spiaggia gettandoli tutto lungo il percorso e si diresse verso quel manto blu. Arrivata alla riva, si spaventò nel vedere l’onda venirle incontro, solitamente in un lago, l’acqua è mite. Preso coraggio. vi immerse i piedi, rise felice, vide alcuni pesciolini avvicinarsi, infine mise le mani a coppa, le riempì del mare e portandosele alla bocca ne bevve un sorso e subito tossì. Mentre si chiedeva come mai l’acqua fosse salata, sentì una risata alle sue spalle, girandosi vide un bambino coi capelli neri, una maglia a righe bianche e blu ed i calzoni corti che la scherniva così: “Bambina, ma sei normale? Bevi l’acqua del mare?!”.
“E’ uno spreco, tutta quest’acqua salata, non ti pare?”, gli rispose Anna.
“E’ salata perché è il mare!”, affermò il giovanotto e continuando “Ma tu da dove vieni per non conoscere il mare?”, chiese il bambino sedendosi sulla sabbia.
La bambina distese il braccio e col dito indicò la duna oltre il faro “Vengo da là”, disse un poco imbronciata.
“Ho capito vieni dalla città!”, esclamò il giovanotto.
“No non vengo dalla città, ma dal bosco”, lo corresse la bambina.
“Parecchio lontano allora. Come è fatto il bosco?”, chiese il giovane.
Questa volta fu la bambina a ridersela, sedendosi accanto al bambino iniziò a spiegargli come era fatto il bosco. Fu il primo incontro dei miei genitori, in seguito diventati adulti si frequentarono e si sposarono, dalla loro unione nacqui io, ed infine mia sorella Giannina. Mentre mia sorella crescendo, odiò sempre più il mare ed i posti isolati, io invece mi ripromisi di diventare il nuovo guardiano del faro, di seguire le orme di mio padre. A vent’anni lei si sposò con un panettiere di Collevento, una città estremamente a nord, un posto che ci volevano ben quattro giorni di macchina per raggiungerlo, immerso tra montagne e boschi, neanche dalla cima più alta si vedeva il mare, era molto felice, ebbe tre figli, il più piccolo porta il mio nome. Non li ho mai visti in verità, tranne che in fotografia. Ho preso il posto di mio padre, ma solo per otto anni, poiché dopo lo automatizzarono. Ad ogni modo io potevo ancora vivere nella casa del custode che era divenuta nostra grazie a mio padre, il quale l’aveva rilevata rinunciando a metà della quota di pensionamento. Diventai il primo telegrafista del paese e lavoravo nel servizio postale, però tutti continuavano a chiamarmi il guardiano del bacucco. Ora che sono anziano passo le mie giornate sulla sedia a dondolo in veranda a fumare la mia pipa di fronte al mio amato mare, per i bambini sono il Vecchio Bacucco, è un nomignolo che porto con orgoglio. Di sera prima di cena, mi arrotolo i calzoni, scendo dalla collina, cammino sulla spiaggia dove i miei genitori si sono conosciuti ed entro in mare, il mio caro amico, che non mi ha mai abbandonato. Ogni sera sono tentato di fare un passo in più verso quel mondo blu che sembra invitarmi. Sento il suo canto e a poco a poco vado avanti, mi muovo e quando l’acqua mi bagna la pancia, mi riprendo come da un sogno ed esco trafelato, senza voltarmi corro verso casa, seguendo l’occhio luminoso del faro. Mi capita sempre più spesso di svegliarmi nel profondo della notte, mentre sogno di immergere la testa nel mare, sento le voci dei miei antenati che mi chiamano, sento un canto ipnotico, mi sento come Odisseo tentato dalle sirene, la parte oscura della mia anima si rallegra, ma la metà luminosa, quella dei buoni consigli è turbata. So per certo che nel momento che metto la testa sott’acqua, smetterò di respirare, smetterò di vivere, affogherò, non c’è vita per l’uomo nel mare. Buffo tenendo conto che la vita è venuta dal mare, ma tornarci per l’uomo è solo divertimento, lavoro o morte.
“Non sarò mai tuo, non sono tuo!”, impreco a petto nudo di fronte al mare in burrasca, le sue onde si allungano, cercano di ghermirmi, di afferrarmi, lo derido, gli sputo contro mentre stringo la mia bottiglia di ‘Bloody Rum’.
Scendo al pontile, slaccio il nodo, salgo sulla barca da pesca di mio padre, più un legno da museo che una barca.
Controllo che ci sia tutto, sciolgo la vela che si gonfia, lego il timone, diretto verso l’occhio della tempesta.
“Ora vengo a prenderti maledetto bastardo!”, urlo al vento, indicando il mare aperto di fronte a me.
La mia barca si arrampica sulle onde, ricade, le spezza, io mi tengo stretto alla fune dell’albero e col pugno sinistro stringo l’arpione.
Solco le onde come se fossero cavalli imbizzarriti da domare, le loro gobbe sbatacchiano la mia barca come una foglia, ad un certo punto eccomi nel centro della burrasca, il mare è calmo, la barca rimane immobile, attorno a me le onde vorticano in cerchio come squali, le osservo, so che fra loro c’è il ‘Signore dei Mari’. Sento il legno tremare sotto le piante dei piedi, ecco ci siamo, sta arrivando, apro e chiudo il pugno che stringe il manico dell’arpione, le gocce salate mi imperlano il viso, vedo un’ombra a sinistra, mi volto appena in tempo per vederlo montare, le piccole onde si aprono per farlo passare, la barca risale sul suo petto, la punta dell’onda mi sfiora la zazzera davanti alla fronte, eccola che scende per ghermirmi, l’adrenalina pompa nel sangue, stendo il braccio, l’arpione colpisce il centro dell’onda mentre quest’ultima mi investe, la barca si spezza, la burrasca si placa di colpo. Riapro gli occhi, i fumi del rum sono svaniti, sono in alto mare, neanche un pezzo di legno a cui aggrapparmi, volgo lo sguardo verso terra, non vedo niente solo buio, eccolo per un attimo l’occhio del faro, l’ultimo saluto, distendo le braccia sui fianchi, mi rilasso, chiudo gli occhi ed affondo, non sto morendo, non sto affogando come credevo, seguo la canzone di Odisseo, nell’abisso i miei antenati mi stanno aspettando, presto sarò con loro.