Senza vita

(Tinta )


Oggi non va poi tanto male.
Ci sono giornate discrete, giornate così così, pessime e da suicidio.
Oggi non mi posso lamentare.
In realtà non so neanche che ora sia.
La sveglia ha suonato al solito orario: 7 in punto!
L’ho spenta e ho pensato: “Ora mi alzo, faccio colazione, mi vesto e vado al lavoro”.
L’ho pensato, ho spento la sveglia e sono ripiombata in questo stato di torpore che mi impedisce di alzarmi. Le gambe e le braccia sono come paralizzate e gli occhi si aprono a fatica.
Ci sono dei giorni in cui mi tiro fuori dal letto strisciando: poi lentamente riprendo la normale funzionalità degli arti e ad assumere la posizione eretta. Riesco persino a portare avanti le incombenze quotidiane, ma solo perché ho la certezza che dopo qualche ora tornerò a dormire.
“Normale” è un eufemismo nel mio caso perché non so più cosa sia la normalità.
E non è che poi “dormire” sia un’ azione così facile per me.
Vivo in un costante squilibrio delle mie funzioni. Per questa ragione posso dormire anche 12 ore di fila e alzarmi stanca come non mai e come se dovessi compiere una fatica estrema. Oppure posso andare a letto stremata e passare la notte con gli occhi sbarrati ed i sensi svegli come se fossero le 9 di mattina.
In tal caso mi giro e rivolto nel letto senza pace, faccio zapping, scrivo al computer, riprovo a dormire sino a quando la sveglia non segna l’inizio reale della mia giornata. E gli occhi restano cerchiati di viola come se avessi appena ricevuto un cazzotto. Oggi, invece, la notte è scivolata nel senso opposto: alle 21 ero già a letto ed ora non riesco ancora ad alzarmi.
Squilla il telefono, come sempre quando non voglio parlare con nessuno perché so che non riuscirò ad articolare le parole. Quando invece ho un bisogno spasmodico di sentire una voce amica, niente, nessuno risponde e il messaggio meccanicamente ripetuto dalla segreteria telefonica è come una coltellata.
Mi sento sola, mi sento persa. Il cuore inizia a battere in modo forsennato e le lacrime a scendere incontrollate.
A volte mi capita anche quando sono per strada: senza un apparente motivo il senso di disperazione sale a galla e viene allo scoperto. Allora la gente mi guarda come se fossi una povera pazza o non se ne accorge neanche. Il che non so se sia meglio o peggio.
Il problema è che spesso neanche le persone che mi sono vicine si rendono conto di quel lacerante dolore interiore: figuriamoci gli estranei!
Più facile credere di avere a che fare con una povera pazza o ignorare tutto. Più facile.
Anche per amici e parenti : ”Che ti manca? Ma di cosa ti lamenti? Tanto se stai male non importa a nessuno. La gente si stanca di sentirti ”ecc. ecc.
Litanie che vengono ripetute da chi forse non coglie un passaggio essenziale: non è necessario che manchi qualcosa ( anche se ad essere sinceri qualche rimostranza in tal senso avrei anche il diritto di farla) per stare male, così male!
Se fosse una “ mancanza” materiale a scatenare questo disagio non si spiegherebbe come mai anche gente che ha apparentemente tutto soffra al punto tale da arrivare a meditare e, talvolta, attuare il suicidio.
Non c’è una motivazione reale. O forse sì.
Nel mio caso credo che la malattia sia genetica, insita nel mio DNA. I precedenti familiari ne sono la prova.
Il telefono continua a squillare: devo rispondere.
Faccio uno sforzo sovraumano per alzare la cornetta: le mani sono debolissime e ho la sensazione che le dita abbiano perso la sensibilità. Eppure rispondo, a fatica cercando di tenere a freno le emozioni per non suscitare preoccupazioni o perplessità in chi mi ascolta all’altro capo.
Per non suscitare preoccupazioni. Cazzo…ma perché…perché devo tutelare a tutti costi l’incolumità altrui …
IO STO MALE E DOVREBBERO FARMI IL CAZZO DI FAVORE DI STARE AD ASCOLTARE!!!
Ma taccio…taccio…il dolore non è attraente mi diceva tempo fa un’amica…e tengo questo dolore per me.
Lascio che mi divori, mi annienti, mi sconfigga ogni volta che torna a riappropriarsi di me e della mia volontà.
Parlo al telefono, fingendo una serenità che non provo, abbozzo un sorriso e spero …spero che qualcosa cambi, che la voglia di vivere torni in me.
Chiudo il telefono e mi ripeto che devo farcela, che devo alzarmi anche perché dalle finestre filtra un tiepido sole e dev’essere senz’altro una bella giornata.
Ma l’entusiasmo o la speranza di esso, si sgretola all’improvviso come intonaco scrostato di una parete malandata. E ritorno vittima di me stessa.
Chiudo gli occhi e piango, aggrovigliata dalle lenzuola che sono ormai il mio sudario e la mia prigione.
E resto lì…ancora…e mi lascio sprofondare in una depressione ancora più nera….
Sì…chiamiamo le cose col loro nome. Depressione nera.
Non credo ci siano altri colori per ben definirla.
Nera.