Ode estorta da una rosa

(Bregoli Fabrizio)


Scriverne ancora, come d’una terra
brulla, d’una zolla da dissodare
come d’un seme in balia dei corvi?
Stillarne voce nuova, è mai possibile?

Febbraio è il più lungo dei mesi, inganna
la brevità incolmabile di giorni
il brillare dell’alba sulla brina
il falso illanguidirsi delle spine
il loro farsi forma, geometria
chiaro accento da sillabe di buio.
E’ verso che si tempra di rugiade
balsamo di piogge, scroscio d’attese.

Rosa, ti canteremo all’ombra illesa
di scarne siepi, al margine d’asfalto
fiorita per caso fra i lazzi del vento
tra rifiuti o tra macerie di fabbriche,
affare di poche lire ai semafori
o lusso alle vetrine di metropoli,
guardiana sul crepaccio degli estinti
o mutila in un vaso di cristallo,
rossa scia su rovescio di palpebre
o pegno nelle mani d’una sposa.

Non si resiste alla lusinga metrica
del ritmo che s’avvolge lieve ai petali
al nulla d’un profumo, a rime facili
antico sortilegio della lirica.