Brevi riflessioni su “Quinta dimensione”

Un autoritratto poetico da cui emerge la forte consapevolezza raggiunta con la piena maturità espressiva, capace di stabilire rapporti profondi tra testi nati in momenti diversi della sua vita

Ero a conoscenza del valore poetico di Corrado Calabrò, per aver letto alcune poesie che un paio d’anni fa mi passò il Prof. Giuseppe Rando, ma la stima allora provata, non mi aveva preparata all’emozione squassante sortita dalla lettura della raccolta Quinta dimensione – Poesie scelte 1958 -2021, ed. Mondadori, cui mi sono recentemente accostata.




Avuto il libro fra le mani, mi ero proposta di darvi una breve scorsa, posticipando ad un momento più propizio una lettura più accurata, invece, non so per quale malìa, il testo mi ha catturata non lasciandomi più libera di attendere a quegli impegni che mi ero ripromessa di svolgere in giornata. Le parole mi hanno inghiottita, conducendomi, sempre più a fondo, dentro quel mare che tanto spazio occupa in quest’opera. Un mare che con le sue “carezze riandanti” (Jonica), ora lunghe, ora incalzanti, sempre voluttuose, si fa sonorità, ritmo e respiro della voce poetica che percorre le composizioni, le sottende, stranamente immodificata, anche quando siano state composte a distanza fra loro di molti anni. E se l’esperienza, il dolore, la disillusione si sovrappongono, se la maturità, preziosa, apre a nuove forme (il poemetto Roaming è geniale testimonianza di uno sperimentalismo che non disgrega la parola, avulso da sterilità, ma che anzi dà corpo ad una poesia moderna molto significante), la “voce” è sempre quella del Corrado Calabrò della struggente Il segno o del meraviglioso Il vento di Myconos che ho adorato e che, a mio modestissimo avviso, raduna ed esalta supremamente la triade che l’autore frequenta oltremodo: eros, thanatos e thalatta. Ma soprattutto il mare è capace di scomporre tempo e luoghi per poi unificarli in un unico epos, dove la voce del poeta titaneggia, profonda, dolente e solitaria.

E che dire de L’esorcismo dell’Arcilussurgiu, sconvolgente azzardo poetico dove le figure femminili - l’amata, la megera - si confondono e si sovrappongono in un crescendo di… orrore?... per giungere ad un finale liberatorio. Anche qui l’azzurro (pervinca, indaco) degli occhi, del mare, è attrazione fatale, vertigine, ma pure salvezza (in fondo, occhi di pervinca ha pure il personaggio - la madre, ho creduto - che “reggeva con tenera fermezza la grande casa” (Senza parole).
È incredibile come il presente si fonda col passato senza stridore, compattandosi, invece, in un’unica pregiata tessitura.
Vengo incantata dall’infinita ricchezza lessicale, dall’assoluta padronanza della versificazione che tanto più si amplia nei poemetti, conducendo il lettore a fondo nell’animo di questo poeta sublime, soggiogandolo. Tuttavia anche la lapidarietà gli si addice e quel sottile velo di ironia che non manca: sono stata amaramente divertita da Lockdown.




Ho amato Marelungo e Scogli di marmo levigato a Thassos e La carrubbara e L’Astroterra che mi pare, in qualche modo, l’antenata di Roaming quanto a denuncia dell’estrema precarietà (anche sentimentale) in cui versa la nostra esistenza.
Infine, sono emersa dalla lettura (che per due interi giorni mi ha tenuta incollata al testo, incapace di potermene distaccare) totalmente stravolta e conquistata da questa poesia che possiede insita una vitalità eccezionale – la stessa, credo, del suo autore - o, come scriveva Camus, una “invincibile estate”.

Posted

17 Jan 2023

Critica letteraria


Maria Grazia Genovese



Foto di Corrado calabrò





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