Sulla vita, la morte e la storia personale di una malata di cancro

Uno sguardo al romanzo "A mente aperta" dell’autrice Daniela Affinita, tradotto in albanese da Valbona Jakova

Le narrazioni sulla vita delle persone affette da cancro hanno il potere di coinvolgere e ispirare gli altri. Tuttavia, scrivere storie della vita di qualcuno legato a questo tipo di malattia richiede una sorta di equilibrio, armonizzazione dello stato emotivo con tutte le esigenze che richiede la creatività di un’opera d’arte. L’autrice Daniela Affinita racconta la lotta di una donna cinquantenne contro il cancro.




È una storia vera, accaduta milioni di volte, quindi rischia di non suscitare interesse nei lettori, ma per una scrittrice di talento come Daniela può essere veramente speciale. L’autrice si è soffermata sulle particolarità della vita di Stefania, la protagonista del romanzo, che rendono il libro interessante dalla prima all’ultima pagina.
Come nella versione originale, la nota traduttrice Valbona Jakova è riuscita a preservare dell’originale anche nella versione albanese, la delicatezza dei pensieri, i colori dei paesaggi descritti e la profondità del dolore che si prova in questi casi, quando in un ambiente familiare e sociale ci sono persone che soffrono di cancro. Leggendo il libro, scopriamo che è stata particolarmente attenta nella scelta di parole e specialmente nelle espressioni di grande carica emotiva che trasportano pensieri profondi sulla vita e sulla morte.
La Stefania di Daniela Affinita è unica, con una storia di vita tutta sua e molto speciale; legata alla famiglia e agli amici in un mondo che enfatizza l’individualismo; con un carattere altruista al punto da rimandare i suoi problemi più vitali come il matrimonio, o da non pensare ad una carriera professionale nel senso pieno del termine. Nelle sue memorie Stefania si descrive come “l’amica di tutti, colei a cui gli altri trovavano facile confidare tutto, l’amica fidata di cui nessuno si innamorava; quasi matematico, dove tutti mi passavano accanto per arrivare alle mie amiche, nessuno mi girava attorno e alla fine, a lungo andare, mi sono abituato alla situazione. In un certo senso ero una specie di “Dottor Straniero”. Io, quella che era diverso dalle altre”.

Stefania aveva da tempo rivolto lo sguardo e l’attenzione oltre se stessa, cosa che ricorda solo quando le viene diagnosticato un tumore al cervello. La presunta percezione di fine vita, sia che avvenga dopo un giorno, una settimana, un mese, un anno o più, è l’unico momento in cui l’intera storia della vita, dall’inizio alla fine, è a disposizione dell’individuo il quale in quel momento, le fa apparire attraverso processi specifici della memoria. Ciò consente ai malati di integrare i pezzi che hanno plasmato le loro vite e, forse per la prima volta, di vedere come questi frammenti di vita abbiano senso nella totalità delle loro vite proprio quando pensi che si va verso la fine.

Speciale è anche il trattamento medico che è stato applicato nel caso di Stefania. Operazione senza anestesia. Awake craniotomy (apertura del cranio da svegli) è stata la soluzione migliore per rimuovere quanta più massa cancerosa possibile, evitando se si può, i danni e i lunghi tempi di recupero richiesti dalla chirurgia tradizionale. Si trattava di un metodo nuovo e complicato che richiedeva il coinvolgimento di una grande équipe medica. Se l’intervento al cervello era di per sé complicato, usare una chirurgia da sveglio era cento volte più complicato. Nella procedura di chirurgia da svegli, al paziente può essere somministrata solo una leggera dose di sedazione. Il controllo del dolore provocato dall’incisione chirurgica è garantito con l’anestesia locale, applicata accuratamente prima dell’intervento. La craniotomia – l’apertura chirurgica del cranio – non provocava dolore, ma solo una forte vibrazione, simile a quella avvertita dal dentista. In questo caso, durante tutta la durata dell’intervento, il paziente resta sveglio e diventa, in un certo senso, il leader dell’équipe che lo opera. Si trattava di una nuova tecnica operatoria di recente entrata in Italia e praticata anche nell’ospedale di Brescia. La gestione di un’operazione del genere spinge il lettore a imparare qualcosa di più attraverso questo libro.

Libri di tal genere regalano narrazioni umane nel momento in cui i personaggi scoprono che le loro vite sono minacciate dal cancro e devono lottare per sconfiggerlo. Tali eventi, seppur individuali, riflettono in una prospettiva più generale la forma più feroce della battaglia, quella per l’esistenza, che in questi casi richiede l’eroismo solo dell’individuo affetto da cancro, per combattere in silenzio la sua battaglia contro il cancro, battaglia osservata con preoccupazione e profonda ansia da parte delle poche persone più care: familiari e parenti, amici.
Anche nel caso di Stefania, il primo sentimento che affronta, appena apprende della sua malattia, è la paura e l’ultima, è la speranza. C’è un momento in cui l’uomo, in questi casi, si trova nel dilemma tra la vita e la morte e si trova indeciso tra le due. Stefania inizialmente pensa che la vita non avrebbe più alcun significato per lei, ma poi, riflettendo, cambia idea e dice: “Quante volte, ho sperato di addormentarmi e di non svegliarmi mai più”, ma sembra che finalmente prevalga il pensiero che avrebbe dovuto vivere. La scrittrice Daniela Affinita, dal suo canto, incoraggia e mette parole eccezionali in bocca a Stefania: “Adesso sono stanca, ho sonno, ma voglio ancora riaprire gli occhi, voglio vivere”.

Molti malati di cancro hanno difficoltà ad adattarsi alle circostanze dolorose (ad esempio, trattamenti, effetti collaterali, perdita di funzionalità di vari organi) e sperimentano un’ansia significativa, sintomi depressivi, stress post-traumatico, ecc. Provano emozioni contrastanti; a volte si sentono incerti su ciò che accadrà. È normale sentirsi emotivi. Le reazioni forti possono verificarsi quando meno te le aspetti e in questo caso non devono essere giudicate giuste o sbagliate. Il malato può sentirsi calmo ed equilibrato un giorno, ma stressato e spaventato il giorno successivo. Questo è del tutto naturale e inevitabile.
Il libro presenta una galleria di personaggi, tra i quali Stefania e il Dottor P. sono i principali, che portano il maggior peso del romanzo. Stefania è una paziente molto coraggiosa, mentre il neurochirurgo è un dottore specializzato e in gamba. Negli incontri durante la diagnosi della malattia, così come prima e dopo l’operazione, i due si conoscono meglio. La dinamica degli avvenimenti mette in luce anche altri personaggi che hanno un ruolo in questo romanzo: l’anestesista, una grande amica, secondo l’espressione di Stefania, “non per un aperitivo o una pizza, ma per il momento di vera necessità”; la cognata Eleonora, sempre a disposizione dovunque ci fosse bisogno, ecc.

Anche i personaggi episodici svolgono un ruolo importante nella loro interezza, a partire dai parenti: zia Xhulia; padre, nonna Romina, nonno Guido, nipote Giacomo; nipote Carlota, fratello; zio Alfredo, moglie Giulia, staff medico: dottor D, neuropsicologo, logopedista; infermerie Simona, Veronika; il caro Dario, l’amico di studio Andrea, gli altri amici di studio Lorena, Francesco, ecc.; gatti, Olivia, Cagnolini, Pulce, ecc.
Questi personaggi giungono a situazioni particolari attraverso ricordi o eventi accaduti in quei giorni della malattia e successivamente.
L’interazione di Stefania con questi personaggi rende speciale la sua storia; apprendiamo ad esempio che aveva vissuto con i suoi genitori fino all’età di 42 anni; che era molto attaccata alla sua famiglia, che amava i suoi amici, che avrebbe potuto sposare qualcuno dei suoi amici se lo avessero voluto, che sperava ancora in una relazione, magari con uno dei suoi amici, ecc.






E nonostante la sua travagliata vita sentimentale, Stefania non odiava nessuno; che ha pensato molto al suo futuro anche nelle condizioni della sua malattia. Parte delle riflessioni per familiari e amici è la seguente espressione: “Ho sempre pensato e ripenso alla fortuna di far parte di una famiglia con legami così stretti, legame assolutamente necessario per essere uniti. Sono un po’ troppo pignoli, ma mi adorano e sono insostituibili. Mi hanno aspettato, mi hanno servito ogni volta che ne avevo bisogno e lo fanno ancora oggi. Ciò che più mi ha impressionato è il grande amore nei miei confronti che ho percepito da parte di persone esterne alla famiglia, a me legate tramite amicizie o grazie il mio lavoro”.
Nel romanzo la procedura operativa è descritta in dettaglio, risvegliando la curiosità dei lettori. Ma il naturale interesse per quest’ultima tecnica moderna entrata in Italia si integra naturalmente nell’insieme del libro, senza dargli alcun valore particolare che possa incidere sulla perdita di interesse per altre parti del romanzo. Interventi del genere richiedono grande competenza professionale, un neurochirurgo come il dottor P., che inizialmente non risveglia l’interesse nella mente di Stefania, ma presto scopre di avere a che fare con una personalità nel campo della neurochirurgia.

È noto che i pazienti affetti da tumore in stadio avanzato necessitano di rapporti di fiducia e di stima, che li supportino nei confronti del proprio oncologo o neurochirurgo, i quali devono tenere conto delle esigenze del paziente e creare con lui uno stretto rapporto di collaborazione. Ad affiancare questi principali specialisti ci sono altri medici, nonché infermieri ospedalieri di oncologia, che hanno competenze specifiche nella gestione degli effetti collaterali e delle complicanze causate dai trattamenti antitumorali. Gli infermieri, anche in questo romanzo, appaiono come una meravigliosa fonte di supporto, guida e informazioni per Stefania. Con il passare del tempo la sua fiducia nel medico principale, colui che l’avrebbe operata, aumenta e alla vigilia dell’intervento era pienamente formata. Stefania si fida in tutto del Dottor P e lo ha consultato costantemente anche dopo l’intervento e anche dopo la dimissione dall’ospedale. Per arrivare a lei, Stefania aveva “scoperto” il medico virtualmente su internet. Riguardo al cambiamento di opinioni, Stefania dice: “Il giovane medico”, che credevo giovane e chiamavo “il dottorino”, aveva già quindici anni di lavoro sulle spalle, una specializzazione in Neurochirurgia, parlava tre lingue, aveva pubblicato più di 50 articoli scientifici e un libro, oltre a ricevere premi su premi tra i più diversi”.

Il dottor P. è il medico delle conquiste scientifiche odierne, dotato di profonda conoscenza, ma anche di massima dedizione al compito. Affinita dice tramite il suo personaggio romanzato, testuali parole: “La malattia è un ostacolo che va superato”. Poi, più in oltre, c’è sempre vita, e il mio obiettivo è riportare il paziente alla sua vita, anche dopo un intervento importante. Per questo devo dare il massimo, dare il massimo in sala operatoria, ma anche dopo essere uscito dalla sala, durante il trattamento. A volte la malattia non può essere completamente curata e il paziente deve imparare a conviverci. Per questo cerco di mostrare al paziente l’intervento come il primo passo di una sfida graduale che insieme si vincerà... spesso questa sfida funziona e insieme portiamo a casa il risultato”.
L’autrice racconta anche le difficoltà della professione del medico e le sfide che deve affrontare, in quanto persone nelle quali i suoi pazienti ripongono le loro speranze. Dunque , devono dare fiducia e speranza, come professionisti che conoscono il valore della comunicazione umana. La medicina, come si scopre dopo aver letto questo romanzo, è una professione difficile, ma anche bella, per la quale, le persone che trascorrono del tempo negli ospedali, e soprattutto per coloro che trascorrono del tempo in situazioni di salute disperate, hanno molto rispetto. Questa fiducia, i medici di un paese civile con una lunga tradizione umanista, la considerano sacra.

Affascinante il modo di narrare della scrittrice Daniela Affinita, un connubio tra narrazioni del presente e ricordi del passato. La totalità degli episodi raccontati in questo libro è sufficiente a rivelare le qualità dei personaggi, soprattutto di quelli principali, che rendono interessante la narrazione. Gli episodi narrati nel libro sono brevi e funzionali, permettendo al lettore di passare da un evento all’altro con facilità, senza mai provare nessun sentimento contrastante o di essere disturbato da eccessi di sovraccarico.
Daniela Affinita, nei suoi racconti, svela il lato invisibile dei rapporti umani in famiglia, nella società, ma anche in ospedale, tra il personale medico e il malato, un legame che va oltre il rapporto paziente-medico o infermiere, ecc. È stata in grado di mostrarci in modo naturale, il lato psicologico di queste relazioni, la gioia e le sofferenze condivise.
Il romanzo si presenta come un’alternanza di eventi accaduti nel passato con quelli accaduti dopo la scoperta della malattia. A differenza di molti pazienti affetti da cancro, che hanno difficoltà ad adattarsi alle circostanze dolorose (ad esempio, trattamenti, effetti collaterali, perdita di funzionalità) e sperimentano ansia significativa, sintomi depressivi, stress post-traumatico correlato al cancro, Stefania entra a far parte in quella fila degli individui stoici che continuano ad essere se stessi nonostante lo shock iniziale, la frustrazione e la rabbia più che naturale e umana spontaneità. Non cambia nessuno dei suoi progetti di vita. Questo problema è legato alla sua personalità e al suo carattere di forte basamenti formatosi anno dopo anno. Sebbene il fulcro dei suoi sforzi quotidiani sia il superamento della malattia, non rinuncia a nessuno dei suoi sogni o impegni: ama, lavora, cammina, si gode la vita nei pochi spazi che la malattia le consente.

Sebbene la fine della vita arriverà e sia inevitabile, l’uomo è portato a rimandare il più possibile quel momento e, inoltre, non ha alcun desiderio di andarvi incontro. Quando a uno saggio fu chiesto se avesse paura della morte, rispose: “Non ho paura della morte, perché quando sono lì io, lei non c’è, e quando arriva lei, non ci sono io”. Questa affermazione vale anche per le persone affette da malattie che sono ancora considerate incurabili. Anche quando vedono il tramonto della loro vita all’orizzonte, anche quando la vita sembri che si avvii per incontrarela morte, cercano di vivere, rivalutando ogni minuto e ogni giorno della propriavita.
Generalmente, quando viene loro diagnosticato un cancro, i pazienti cercano di rispondere a domande sul significato della loro malattia e della loro sofferenza. Riflettono sullo scopo e sul complicato significato della vita.
Affinita, attraverso questo romanzo, riesce in migliore dei modi a trasmette il grande e l’importante messaggio che: l’esperienza di convivere con il cancro non è tutta negativa. Questa malattia può farci sentire più attenti verso alle persone che ci circondano e alla vita stessa. Le persone diventano più grate per ogni giorno in più che la vita regala. Imparano a rispettare persino le piccole cose come non hanno mai potuto fare prima.
Al lettore, dopo aver letto questo libro, può sorgere la domanda: perché è stato scritto? Rispondo, per descrivere la vita insolita di un’ paziente, per attirare l’attenzione sui nuovi sviluppi medici nel campo della lotta contro il cancro; per mostrare la complessità dei rapporti umani.
Secondo me é molto importante presentare al lettore in modo un po’ diverso gli eventi abituali della nostra vita. La vita di Stefania era davvero fuori dalla normalità della società egoista e individualista che viviamo. In termini di medicina, i nuovi sviluppi lasciano spazio all’ottimismo, poiché la scienza sta vincendo sempre più la battaglia contro il cancro, considerato la malattia del secolo. D’altro canto, l’autrice trasmette il grande messaggio umano di quanto siano importanti le relazioni tra le persone per affrontare sfide terribili, come quella del cancro. L’amore, la solidarietà e il sacrificio umano per un parente, compagno o amico costituiscono il principale supporto per affrontare la malattia o alleviarne la sofferenza.

Il libro trasmette importanti messaggi anche su alcune questioni esistenziali come l’affrontare la morte, il resistere negli ultimi giorni di vita, o altri problemi di relazione interpersonale con i malati di cancro. L’autrice rende un grande omaggio al lavoro del medico, rivelando non solo le sorprendenti conquiste della medicina odierna in termini di tecnologia, ma anche i sacrifici che compie in difesa della vita altrui. Il libro traspare e viene pervaso da un profondo umanesimo, dall’amore per l’uomo, dal rispetto per la dignità umana, dai grandi valori della società e dell’amicizia. La scrittrice Daniela Affinita fa scendere la drammaticità della sua scritturae la riversa con tanta delicatezza ed eleganzasulla vita ordinaria di Stefania e lo fa con tanta maestria. Il conbaciare di questi quadri interiori di sensibilità umane, fa nasce un connubio da cui nascono messaggi bellissimi come quello che la vita va avanti con esperienze e amori conservati nel tempo che esplodono anche nei momenti di terribili malattie.
Concludere il romanzo con le parole di Stefania, è la migliore chiusura: “La cosa sorprendente è che quando sono con lui (Andrea) dimentico quello che succede fuori di me, a dire il vero non mi interessa neanche. Rivivo quelle emozioni di tanti anni fa. Mi fissa così intensamente che mi fa sentire protetta, non che ne abbia bisogno! Ma è così bello quando sai di avere qualcuno al tuo fianco che è lì solo per te. La vita continua in tutte le sue dimensioni fino a una fine, fino a quella fine che non vogliamo”.

Posted

22 Feb 2024

Critica letteraria


Nicolle Loka



Foto di Daniela Affinita





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