Veza Canetti. Autodafé di un amore

Un romanzo di Gianfranco Longo: la storia e la vita della scrittrice raccontata pa-gina dopo pagina, in modo chiaro, attento, preciso

Veza Canetti. Autodafé di un amore (Il Poligrafo, 2022) di Gianfranco Longo, docente di Filosofia della Pace e dei Diritti Individuali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” è un saggio caratterizzato da uno stile catechetico-confessionale e mnemo-epifanico in cui l’Autore utilizza, andando a riprendere le sue parole: una tecnica narrativa di flusso verbale in cui alla divulgazione di un determinato autore e alla riflessione ermeneutica sulla sua opera si affianca la conoscenza della sua vita in un determinato momento civile e in un peculiare passaggio storico-politico e sociale, interpretando il valore della sua opera, lasciando che sia l’autore stesso a rivelarsi.


Nella prima parte del romanzo l’io narrante è rappresentato da Veza che, in stile confessionale, espone i suoi ricordi, i pensieri, le emozioni e le sensazioni riguardo le vicende personali e storiche di quel periodo, l’amore con suo marito Elias. Nella seconda parte Longo propone un poema breve di 4104 versi scritto da Elias e dedicato a sua moglie intitolato Crogiolo; viaggio nella vita, nelle emozioni, nella metamorfosi costante di ogni elemento che fa parte della vita e dell’animo umano attraverso – riprendendo ancora una volta le parole dell’Autore – un dialogo sulle stagioni e sui mesi della vita, sui luoghi e sulle età, sui concetti filosofici e narrativi, sino a raggiungersi, Elias e Veza, a una sorgente di amore e di meditazione.

Entrambe sono pregne delle note della Quinta Sinfonia e Sesta Sinfonia del compositore e direttore d’orchestra austriaco del periodo tardo-romantico Gustav Mahler. Fanno parte del periodo compositivo musicale in cui Mahler ha cercato di esplorare il significato ed il valore della vita ed il significato del subconscio umano attraverso la natura drammatica della sua musica, intrisa di implicite sfumature psicologiche e filosofiche. Le due sinfonie narrano anche storie di addii precoci e prematuri alle persone amate, di vite distrutte e soffocate dalla guerra e da dittatori assetati di potere e morte. A proposito della Quinta, Veza Canetti scrive, rivolgendosi a suo marito Elias: Avevamo amato sino a farne un’unica sinfonia, la “Quinta” di Gustav Mahler […].”

Attraverso la scrittura, Veza Canetti consente di immergersi nel suo animo così sensibile e tormentato, rivelando una donna dalla grande personalità, infinita forza, straordinaria intelligenza ed una buona dose di testardaggine che l’ha sempre spinta a seguire i suoi principi ed ideali. Elias, nel suo libro La strada gialla, rivela che: “Due idee fondamentali tenevano in vita Veza contrastando la sua malinconia: la prima era una fede assoluta nei poeti, come se fossero i poeti a creare di continuo il mondo, come se alla scomparsa dei poeti il mondo dovesse disseccarsi. La seconda era l’inesauribile ammirazione per tutto ciò che può rappresentare una donna, una donna che riuscisse a essere davvero tale. […]”. In un altro passaggio presente nello stesso libro, Elias scrive: “[…] Veza si aspettava moltissimo dalle donne perché aveva una considerazione assai elevata delle loro capacità.”

Dai vari fattori biografici legati alla personalità ed alla vita privata di Veza che segnarono il suo stato d’animo e la sua produzione ed attività letteraria, si evince un forte disagio fisico e mentale. Riguardo il deficit fisico di cui soffriva: Veza era nata senza l’avambraccio sinistro. Ciò rappresentava un vero e proprio disagio che avvertiva anche con tutti, soprattutto con suo marito.
Elias è stato molto presente nella sua scrittura: le vicende raccontate da Veza, lo vedono co-protagonista e destinatario, con lui ci dialoga cercando un costante contatto, ricordando le vicende passate insieme e descrivendo il modo in cui si conobbero. Veza era un’assidua ascoltatrice delle orazioni di Karl Kraus, uno dei maggiori scrittori satirici e commediografi del suo tempo: fu proprio in occasione di una di esse nel 1924 che Veza incontrò per la prima volta suo marito Elias.

Kraus ha influito notevolmente sulla coppia, sia dal punto di vista ideologico che letterario. Si crearono, però, delle profonde differenze: Veza fu in grado di relazionarsi in maniera più critica e posata con il pensiero di Kraus, mentre su Elias, Kraus esercitò un’influenza maggiore e più penetrante. Veza esprime i suoi pensieri e le sue emozioni a tal proposito: la sua scrittura trasuda sofferenza poiché desiderava che suo marito Elias – proprio come faceva lei – mantenesse le distanze da Karl Kraus e che non gli permettesse di invadere la sua sfera privata, delle sue letture e dei suoi interessi. L’obiettivo di Veza era quello di riuscire a liberare suo marito dai limiti intellettuali che l’influenza di Kraus aveva imposto allo scrittore.

Il rapporto tra Veza ed Elias è sempre stato molto particolare, sin dall’inizio. Quando si conobbero, erano semplicemente amici; nel 1934 si sposarono. In seguito Veza ricoprì un ruolo di mentore letterario per Elias. Il loro amore fu ben lontano dalla serenità, dalla lealtà, dall’onestà e dalla purezza poiché Elias non fu mai fedele, né prima né dopo il matrimonio. Frequentò intensamente altre donne. L’amore di Veza per Elias invece, era viscerale, così grande da fare di suo marito una delle ragioni di vita, il suo pensiero fisso, la persona alla quale dedicare pagine e pagine di riflessioni di ogni tipo che spiegano al meglio l’amore che provava: “[…] mi abbandonavo invece a tatuarmi su di te, dissipandomi in una dimensione ossessivamente incorporea, onirica e iconica, vivendo e morendo per te […]”
Tuttavia tutti i libri di Elias scritti fino al 1980, “con una sola eccezione”, li ha dedicati a sua moglie. Quando la conobbe, si trovava in una difficile situazione familiare che stava distruggendo la sua salute mentale: conoscere Veza è stata la sua salvezza, l’evento miracoloso che gli ha ridonato la vita. Elias scrive nel suo libro La strada gialla: “[Veza] mi ha salvato con la sua semplice presenza”.
La morte della madre di Elias, Mathilde (Arditti) Canetti, segnò profondamente Elias. Dopo questo triste avvenimento, Veza assunse il ruolo di madre sostitutiva anche se ad un certo punto Elias iniziò a percepirla come un peso per diversi motivi tra i quali lo stato mentale di Veza, grandemente influenzato e colpito dagli eventi storici del periodo che si trovavano a vivere e ad affrontare.

Il romanzo dà voce a vicende storiche riguardanti la politica interna ed estera del regime nazista e la Shoah. Gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo sono stati caratterizzati da incessanti guerre, dallo sterminio di popoli innocenti ed inermi e dall’obbligo di cambiare sempre confine e Stato per ritrovare la propria vita.
Il 12 marzo del 1938 le truppe tedesche entrarono in Austria. Durante il mese di settembre dello stesso anno, Veza Canetti scrisse che i nazisti entrarono nella loro casa a Vienna per requisirla e che lei e suo marito riuscirono in poco tempo a fuggire; successivamente, in novembre accadde il celebre e tragico evento della Notte dei cristalli, in cui i nazisti distrussero senza alcuna pietà i negozi, le sinagoghe e le case degli ebrei. Dopo questo agghiacciante avvenimento, Veza ed Elias riuscirono a rifugiarsi a Londra, giungendo in Inghilterra attraverso Parigi.
Entrambi si ritrovarono a vivere e condurre una vita in esilio, ritrovando la propria pace e la propria salvezza, riprendendo la vita in mano, aggrappandosi ad essa in qualunque modo pur di non perderla. L’amore che Veza ed Elias provavano l’uno per l’altra – nonostante gli innumerevoli problemi non solo legati all’ambito storico ma anche relazionale – li ha aiutò a superare come meglio poterono situazioni difficilissime.
Veza trascorse questo esilio ritirandosi e rifugiandosi completamente nell’attività letteraria, in particolare promuovendo quella di suo marito Elias. Nel 1963, Veza Canetti morì a Londra senza mai tornare a Vienna.

Posted

23 Jan 2023

Critica letteraria


Luigia Torre



Foto dal web





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