Storia e Filosofia

L’alterità per Aristotele e Kant

Il termine alterità deriva dal latino alter che si traduce con diverso, non identico, è sinonimo di diversità. È Aristotele (Stagira, Grecia 384 a. C. – Eubea, Grecia 322 a.C.) che distingue l’alterità dalla differenza tra le cose dello stesso genere ed è Aristotele il filosofo che studia l’alterità; però dobbiamo dire che il concetto di alterità nasce con la nostra epoca.
L’altro, per la filosofia greca, è necessario per avere la piena coscienza di sé, è lo specchio perché il singolo abbia conoscenza di sé; per i greci l’essere umano ha conosciuto sé stesso quando è riuscito a specchiarsi nell’occhio dell’altro. A questo proposito Sartre, inve-ce, afferma che l’occhio dell’altro è ciò che mi stron-ca, mi oggettivizza, è l’inferno per me.

Gianni Vattimo: Il pensiero debole.

Da Jean Françoise Lyotard, Umberto Eco ai Maestri del sospetto
(Quarta e ultima parte)

Vattimo afferma che: “Noi abbiamo sempre bisogno di un meta-racconto, che è il racconto della fine del meta-racconto. I meta-racconti sono le grandi narrazioni di Lyotard, ma anche di questi abbiamo bisogno per dare ancora una qualche razionalità ai nostri discorsi. Tutta questa faccenda del postmoderno che si afferma come processo di dissoluzione delle strutture centrali forti, della razionalità delle grandi ideologie totalizzanti e che è quello che dice Lyotard, si è centralizzata in un’altra teoria diventata uno slogan nella cultura italiana negli ultimi anni e riassunta nell’espressione “pensiero debole”.

Candide

Voltaire porta alla perfezione l’arte del romanzo filosofico

Nel Vocaboulaire technique et critique de la Philosophie, a cura di A. Lalande, giustamente si può leggere: Il faut dire que Voltaire en voulant critiquer Leibniz, réalement dénonce la Thése de Pope: tout cela qui existe, c’est bien.
Secondo Pope, il male è una parvenza ma, per esser chiari, bisogna aggiungere che la vera origine di Candide è da ricercarsi sulla “querelle” scoppiata tra Voltaire e Rousseau. Nel 1755 le relazioni tra Voltaire e il Ginevrino sono cortesi e il pedagogista gli invia il noto Discours sur l’inegalité.

G. Vattimo: Moderno e post moderno; Nietzsche e Heidegger

(Terza parte)

Alla domanda dei ragazzi sul significato dei termini “Moderno e postmoderno”, cosa vuol dire crisi dei fondamenti e che cosa si intende per Verità, il filosofo Vattimo così introdusse l’argomento, chiarendo innanzitutto il concetto di “Modernità”: Caduto il colonialismo cade anche l’idea della Storia come unico senso fondato sulla Verità. Un tempo per Modernità si intendeva l’epoca del Razionalismo e dello Storicismo; le due cose poi si fusero nell’Illuminismo, secondo cui c’è un senso della Storia che è unitario e che ci conduce a comprendere sempre più chiaramente le Verità razionali: questa è stata anche la base dello Storicismo ottocentesco e dell’Eliocentrismo.

Il Postmoderno e il Pensiero Debole

Ovvero inconsistenza e miseria della filosofia italiana contemporanea.
Intervista a Gianni Vattimo (Seconda parte)

Il meta-racconto illuminista è l’idea della storia umana come storia del progresso, della coscienza attraverso i lumi della ragione, la rivoluzione del proletariato e le conquiste della scienza e della tecnica. Tale narrazione culmina nel Positivismo, favo-rendo l’emancipazione e la libertà dei popoli.
Il meta-racconto idealista risale ai grandi filosofi idealisti dell’800 tedesco: Fichte, Schelling e soprat-tutto Hegel per la visione della storia umana segnata dallo spiritualizzarsi della coscienza: lo Spirito asso-luto ha una conoscenza speculativa degli spiriti finiti che siamo noi.

Il Postmoderno e il Pensiero Debole

Ovvero inconsistenza e miseria della filosofia italiana contemporanea.
Intervista a Gianni Vattimo (Prima parte)

Nell’ anno scolastico 2000/2001, nell’ambito di un progetto didattico Il Novecento: l’Universo e l’Uomo svolto dagli alunni del quinto anno del Liceo Scien-tifico “A.Moro” di Margherita di Savoia (BT), furono presi in esame e sviluppati temi riguardanti i concetti di “Postmoderno” e “Pensiero debole”. La questione era capire se in una società come la nostra, in cui i valori fondamentali si vanno sempre più perdendo e, quindi, svuotando di senso, ci fosse ancora la pretesa della ragione forte, intesa come ragione metafisica “fondazionistica” o “fondamentalistica”.

La psicologia come scienza del comportamento

Il behaviorismo o psicologia oggettiva del comportamento trae il suo proprio humus proprio dalla psicologia animale. Le radici di tale corrente sono da ricercarsi soprattutto nella filosofia inglese dell’evoluzione (Darwin) nonché nello scientismo positivista di Comte o visione positiva della scienza come pura oggettività. Tale corrente è debitrice degli studi di Pavlov e della scuola del grande neurofisiologo e zoologo tedesco Jacques Loeb.

Schelling e l’Idealismo estetico

È considerato tra i più grandi idealisti tedeschi, anche se il suo pensiero è spesso stato messo in ombra dalle critiche di Hegel

Schelling è con Fichte ed Hegel un grande esponente dell’idealismo tedesco. Il suo pensiero filosofico fu in continua evoluzione. Inizialmente partì dal sistema di Fichte dandone, però, un’interpretazione diversa.
Figlio di un pastore protestante, nacque nel 1775 a Leonberg. All’età di quindici anni entrò nel seminario di Tubinga ove studiò filosofia e teologia. A ventun’anni si trasferì a Lipsia come precettore dedicandosi anche allo studio di scienze naturali. Nel 1798 fu chiamato alla cattedra di Jena, grazie al grande successo delle sue opere. Qui frequentò il circolo romantico, cenacolo di poesie, filosofia e di idee religiose e conobbe i maggiori esponenti del Romanticismo. Fu questo il periodo più felice e produttivo per il filosofo.

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