Il Realismo terminale raccontato da G. Langella

Il realismo terminale è un movimento, di poeti e non solo

Le morti sul lavoro hanno raggiunto cifre da guerra. Il valore umano, attaccato su più fronti è ormai percepito come un buon prodotto per le grandi macine: dalle fabbriche alle guerre. Energia pulita, facilmente smaltibile e sostituibile: Prodotto uomo, carburante del mondo.


Tania Di Malta


Ho voluto cominciare così, con una mia citazione questo contributo che unitamente agli articoli passati e a quelli che verranno, alimenterò questa mia pagina, un piccolo serbatoio in cui attingere e spaziare sui vari volti del Realismo terminale. Ritengo importante fare capire che il Realismo terminale e segnatamente, la similitudine rovesciata, ovvero la sua principale sigla stilistica, racchiuda all’interno del suo paradigma, una possibilità tutta da sperimentare di narrazione della realtà lontana, ma soprattutto vicina, perchè oggi il lontano e il vicino sono la stessa cosa. Eppure colpisce come tutti nell’era globale, siano generalmente disposti ad aderire a proteste per tutto quello che avviene molto distante da noi, senza sognarsi minimamente di attivarsi , per esempio, se viene dato fuoco a un barbone su una panchina del parco vicino casa.

Sembra insomma che la distanza sia la condizione giusta per attivare la commozione collettiva. A questo va aggiunto un altro dato interessante: quando passa attraverso i mass madia una sovraesposizione di notizie tragiche, corredate da immagini drammatiche, assistiamo a un abbassamento del valore empatico fino all’indifferenza. Qui si compie il passaggio fondamentale in cui l’umano, perde il suo significato, fino a diventare, prima numero (si pensi su altro versante alle corsie degli ospedali), poi oggetto, velocemente consumabile e sostituibile. La domanda che verrebbe da fare è questa: era prevedibile? In tutti gli studi compiuti nel '900 sulla comunicazione e i suoi assiomi, (la pubblicità e la percezione), era davvero difficile prevedere quello che poi sarebbe accaduto? Nello scritto che leggerete vorrei che focalizzaste l’attenzione su qualcosa che sfugge, soprattutto a chi pensa che il Realismo terminale sia una mera elencazione di oggetti e si illude, adottando questo espediente di aderire alla sua poetica. Chiariamo subito questo fraintendimento: il Realismo Terminale reclama soprattutto e con forza una poesia civile, la grande assente del nostro millennio! Le soluzioni stilistiche, della similitudine rovesciata alla chiave ironica, sono funzionali a un progetto di intervento critico sul mondo di oggi, scioccante come una scarica elettrica.


Tania Di Malta

Oggi diamo la parola a Giuseppe Langella; è lui, dopo il fondatore Guido Oldani, il maggior riferimento del Realismo Terminale.
Giuseppe Langella insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università Cattolica di Milano e dirige il Centro di ricerca "Letteratura e cultura dell’Italia unita". Come poeta ha esordito nel 2003. Il testo che segue è parte della sua introduzione all’antologia del Realismo terminale Luci di posizione. Poesie del terzo millennio uscita nella collana Argani di Mursia.
La sintesi, è stata curata personalmente dall’autore
Ma prima un piccolo omaggio al Langella: il testo che segue, estratto da Luci di posizione, è un grottesco, amarissimo tombeau ispirato alle tante, troppe vittime dei cosiddetti viaggi della speranza morte affogate durante la traversata.

Esodi


Non si sono dati neppure la pena
di disossarvi o di tagliarvi a tranci,
prima di rovesciarvi nella stiva.
Cara grazia! Piegate orsù, la schiena
allegri, chè non vi hanno appesi ai ganci
e forse arriverete vivi a riva.


Qualora poi la barca si rovesci,
tranquilli:non andrete in bocca ai pesci,
ma come tanti bronzi di Riace,
morti affogati, troverete pace
in un museo del mare, in un acquario
dietro un cristallo, postumo sacrario.


Giuseppe Langella


Introduzione

1. Ogni nostro atto è calato in un tempo e in un luogo. La dimensione storica del nostro esistere è totalmente radicata in queste coordinate. La poesia non può prescindere da questa dimensione comune dell’esperienza. Per forza di cose, deve fare riferimento anche lei a un luogo e a un tempo.
[…]
Chiudersi nella propria torre d’avorio, in un moto orgoglioso di ripulsa del gran brago del mondo, da Mallarmè in avanti è stata la grande tentazione del poeta moderno. Estraniarsi dalla realtà in cui abbiamo avuto in sorte di vivere equivale a una resa incondizionata, a una rinuncia in partenza, in nome di una purezza infeconda, a esercitare una qualsiasi funzione civile. Baudelaire, con la sua celebre “perdita d’aureola”, aveva suggerito, in verità, un’altra direzione. Se Ulisse non avesse sfidato i Proci, non sarebbe mai più tornato in possesso della sua isola.
[…]
Bisogna avere il coraggio di guardarsi intorno. Anche la poesia introspettiva, alla fine, se vuol elevarsi dal piano puramente effusivo a quello causale della conoscenza, deve fare i conti con l’ambiente che avvolge il soggetto e lo fascia. Non siamo monadi, esistere è essere in situazione, ogni nostro vissuto si genera a contatto col mondo, per simpatia o per attrito. […] Se aspiriamo a una testimonianza che arpioni la storia e incida sui processi antropologici e sui costumi sociali, dobbiamo inevitabilmente alzare il tiro e diventare gli specchi ustorii del mondo in cui viviamo.


2. E qual è questo mondo? è ancora quello che appariva a Leopardi "in su i veroni del paterno ostello"? Oh, quanto darei per ammirare ancora, accanto a lui, "il ciel sereno, / le vie dorate e gli orti, / e quinci il mar da lungi, e quindi il monte"! Ma disgraziatamente, se mi affaccio alla finestra, mi trovo davanti un centro commerciale con un grande parcheggio e un continuo via vai di gente, di macchine e di carrelli. E a nascondermi "tanta parte dell’ultimo orizzonte" fosse almeno una "siepe" di pitosforo, invece che una fila inamena di casermoni. L’unica siepe che vedo è l’aiuola spartitraffico della strada a doppia corsia chè, non risuona del "perpetuo canto" di una Silvia leggiadra, ma del rombo nervoso delle testate e delle marmitte in colonna al semaforo.
[…]
Dove prima, dove più tardi, nell’arco di pochi decenni paesaggi e stili di vita sono stati così radicalmente mutati dalla tecnologia, in ogni angolo della terra, da modificare le coordinate stesse della nostra percezione del mondo. La vegetazione sempreverde, di plastica, che arreda tanti nostri ambienti di lavoro, di passaggio o di svago, ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che non viviamo più in un ambiente naturale, ma in uno spazio artificiale. Preso da una frenesia prometeica, il demiurgo moderno si è fabbricato un mondo che è l’esatto contrario di quello dove hanno abitato per un numero imprecisato di millenni i suoi progenitori. L’opera del suo ingegno sta ricoprendo, a ritmo crescente, tutta la terra, in un delirio di anti-creazione. La natura è costretta ad arretrare e a violare le sue stesse leggi, a spezzare i superiori equilibri, a contraffare i suoi prodotti.
Milioni di oggetti vengono sfornati continuamente dalle fabbriche del globo, per soddisfare tutti i bisogni, tutte le necessità. Essi sono diventati, in breve, le nostre segretarie, i nostri passatempi, i nostri contabili, i nostri specialisti, i nostri amministratori: i nostri dolci, asettici, indispensabili, tiranni. Peccato che la loro aspettativa di vita sia sempre più breve, fino alla pulsione dell’usa e getta. Una volta dismessi, si accatastano nelle discariche, ipogei o crateri a cielo aperto più numerosi e piùvasti, e assai meno degradabili, dei cimiteri umani. L’intero pianeta se ne sta rivestendo.
I popoli si ammassano in agglomerati sempre più tentacolari, nei paesi del cosiddetto terzo mondo non meno che in quelli del progredito Occidente. Ogni giorno barconi di migranti in fuga dalla miseria, dalle guerre, dalle persecuzioni, approdano a ondate sulle nostre coste in cerca di fortuna. Ogni giorno fiumi di pendolari si spostano: si riversano nei centri urbani e nei luoghi di lavoro, e sciamano a ore prestabilite, come i pistoni del motore. Sono esodi di dimensioni bibliche. Chi non ci crede, vuol dire che non è mai salito su un treno o su un vagone della metropolitana di prima mattina.
Si può far finta di niente? Noi crediamo di no. Il Novecento è passato, non possiamo più scrivere come scrivevamo nel Novecento. […] Se vogliamo dar voce all’esperienza delle folle quotidianamente rigurgitate da tutti gli orifizi urbani, e di una guerra di logoramento quasi peggiore di tutte le precedenti combattute in armi, quella delle borse, degli spot, dei grandi magazzini, delle code alle casse e agli sportelli, dei codici a barre, dei forni a microonde, delle chiavi elettroniche, delle soste vietate, dei clacson, dei gas di scarico, dei tornelli, dei metal detector, del cartellino da timbrare, dei social network, dei cellulari, della musica in cuffia, delle antenne paraboliche, delle fibre ottiche, del digitale terrestre, necessariamente dobbiamo cambiare musica e spartito.


3. Il Realismo Terminale, il movimento lanciato nel 2010 da Guido Oldani, nasce dall’osservazione di questi fatti planetari e delle trasformazioni antropologiche che stanno generando. Vuol essere un rispecchiamento ironico della civiltà ipertecnologica, babelica e globalizzata degli anni Duemila: una risposta estetica, ovviamente, giocando, com’è giusto, tutta la sua credibilità; sul terreno del linguaggio, ma con la consapevolezza di poter contribuire, per questa via, al risveglio delle coscienze anestetizzate dal cloroformio quotidiano dell’attivismo frenetico e della rete, dell’intrattenimento e degli spot pubblicitari. […]
Vogliamo descrivere e interpretare quegli aspetti del divenire storico-sociale che maggiormente caratterizzano la nostra epoca, tanto da poter essere additati come i suoi esiti più tipici e rappresentativi: i suoi simboli, i suoi apparati, i suoi idoli e i suoi riti. Solo così, catturando nella trama dei versi le sintomatiche epifanie di questo mondo, possiamo sperare, fra l’altro, che la conoscenza veicolata dai testi non si risolva in una sterile funzione consolatoria, ma abbia una qualche ricaduta civile.
[…]


4. Ma i mutamenti in atto su scala planetaria stanno modificando, come mai forse è successo prima d’ora in maniera tanto profonda, la percezione stessa della realtà. Siamo testimoni, cioè non solo di un’impressionante metamorfosi dell’ambiente che fa da cornice agli atti della nostra esistenza, ma anche, e più in radice, di una basilare alterazione dell’esperienza del mondo, provocata dall’habitat artificiale e dagli strumenti, materiali e virtuali, con cui interagiamo con l’esterno. Anche le operazioni più semplici e comuni che compiamo in automatico, a casa o per strada, in macchina piuttosto che a uno sportello bancomat, in villeggiatura non meno che in ufficio, prevedono, ormai, l’impiego sistematico di tecnologia. Gli innumerevoli utensili, sempre più sofisticati, che noi stessi ci siamo fabbricati per comodità, sono diventati i nostri media, le protesi e i filtri con cui ci muoviamo nello spazio ed entriamo in contatto con uomini e cose. La scomparsa delle lucciole denunciata da Pasolini era un segno premonitore del mutamento antropologico cui stiamo assistendo. Ci siamo talmente allontanati dallo stato di natura, da non saperci più adattare a condizioni di vita prive della capillare assistenza dei comfort. Il mito di Robinson è diventato più astruso delle divinità olimpiche. La natura, che una volta copriva letteralmente la terra, soffocata dal progresso, vampirizzata e sfigurata dallo sfruttamento economico, spinta ai margini delle città; tentacolari, ridotta quasi dovunque in schiavitù, o confinata, nel migliore dei casi, in qualche residua riserva indiana come una specie protetta in via di estinzione, può dare, di tanto in tanto, in escandescenze, quando la rabbia accumulata tè più in grado di insegnare alcunchè all’uomo contemporaneo. La natura, come non è più la cifra del suo limite, l’unità di misura dei suoi gesti, allo stesso modo non è più il suo punto di riferimento, nè il suo termine di paragone. […] L’uomo contemporaneo è diventato autoreferenziale: totalmente immerso in un ambiente artefatto, trae gli auspici dagli elementi che lo circondano, la massa dei suoi simili e quella strabordante degli oggetti.
Con queste premesse, s’intende che un semplice aggiornamento dei temi poetici, pur necessario, non poteva bastare al nostro intento […]. La ricerca dei Realisti Terminali ha individuato alcune omologie strutturali tra linguaggio e realtà indagata, che si vogliono qui segnalare come le chiavi di volta del loro sistema espressivo.
La prima, vero marè quella che Oldani, patriarca del movimento, ha definito similitudine rovesciata. […] La similitudine rovesciata è l’espressione poetica dei nuovi paradigmi conoscitivi, la forma retorica che sancisce il primato della realtà artificiale sull’esperienza attuale del mondo. All’opposto, infatti, della similitudine tradizionale, che ha sempre assunto la natura quale termine di paragone per descrivere una determinata realtà umana o meccanica, la similitudine rovesciata, per comprendere ciò che esiste o che accade, attinge al sistema artificiale di riferimento fornito dall’esperienza mercificata e tecnologica, mediata e mediatica, della civiltà odierna. […]
Se la similitudine rovesciata insiste sul terreno dei processi cognitivi, due altri stilemi, praticati con una certa frequenza dal gruppo, riflettono invece, sempre sul versante delle strutture formali, i fenomeni, sociologicamente nevralgici, della globalizzazione e dell’accatastamento dei popoli e delle merci: alludo, rispettivamente, alla lingua egemonica e all’accumulazione caotica. […]


5. Il Realismo Terminale è la poetica della civiltà globalizzata. Pertanto non ha e non può avere confini, perchè le medesime trasformazioni stanno avvenendo, quasi in contemporanea, un po’ dappertutto. è un movimento planetario. Ha attecchito persino in Cina, sull’onda dell’impetuosa rivoluzione industriale degli ultimi anni, coi problemi connessi dell’esplosione demografica, dell’emigrazione interna verso i grandi distretti produttivi, dell’inquinamento ambientale, dello sfruttamento della manodopera, dell’alienazione del lavoro in fabbrica. […]
Nella palude stigia dell’accidia culturale, in cui ciascuno gorgoglia, rabbioso, la propria insignificanza, i Realisti Terminali chiamano a raccolta tutti gli spiriti liberi; non per difendere una bandiera, perchè non ci interessano le batracomiomachie, ma per restituire alla poesia un’incidenza civile. Urge che le intelligenze vive si mobilitino, se vogliono porre un argine a quella che da più parti si comincia a chiamare, con una formula abbastanza inquietante, da naufragio senza spettatore, civiltà post-umana. Il Realismo Terminale si candida, in questo senso, al ruolo di estrema avanguardia. Noi ci siamo, abbiamo già acceso le nostre Luci di posizione.

Posted

20 Oct 2019

Realismo terminale


Taniuska - Tania di Malta



foto dal web

Articolo già pubblicato su Versospazioletterario





Programmi in tv oggi
guarda tutti i programmi tv suprogrammi-tv.eu
Ascolta la radio
Rassegna stampa