Da un’ampolla all’altra della clessidra

Recensione di Sandro Angelucci a "sacro cuore" di Franca Alaimo

Sono i giorni sontuosi/ in cui si incontrano fate,/ gnomi, creature miracolose./ Nei cortili, al sole,/ si tracciano gesti assoluti,/ fanno rumore di biglie di vetro/ le risa, nell’aria./ All’ombra, nei giardini,/ si dormono quei sonni pesanti/ che hanno gli animali innocenti./ Finché arrivano i giorni normali,/ il bene diviso dal male,/ e la vita ha inizio dal niente.

È la lirica che apre la nuova raccolta di Franca Alaimo. Si sottintende, nella stessa, il termine 'individuo', la sua etimologia [comp. di in- e dividuus «diviso», che traduce il gr. ἄτομος: v. atomo] cioè inseparabile. Si è dunque davvero individui quando al Sole “fanno rumore di biglie di vetro/ le risa, nell'aria" e quando all'ombra "si dormono quei sonni pesanti/ che hanno gli animali innocenti".

Poi arrivano i giorni normali, i giorni adulti (come avremo modo di leggere sfogliando le pagine di sacro cuore) "il bene diviso dal male", il Sole dall'ombra, il niente dal tutto.
Iniziamo a scorrerli allora questi conti in versi: come quello della passeggiata con lei, con la madre; “il vestitino in ordine, pulito” ma la mano “sugli occhi/ i polsi la bocca”. Tutto censurato in nome di una "stupida festa" cui si vuole ridurre la vita. E Franca?: “che bestia graziosa e sbiadita/ …tirata via per la cavezza”. A volte sono proprio gli adulti che affrettano la corsa verso l'abbandono di sé. Involontariamente – è chiaro, è fuori discussione – persino una madre può fare del male ad un figlio.
Così – nel testo immediatamente seguente – la Nostra affronta quello che va considerato il primo e più influente dei condizionamenti sociali cui viene sottoposta la mente, ancora in formazione, del bambino: sto parlando del suo rapportarsi con l’amore, con la sua innata necessità di entrare nel mistero di se stesso che, per l’appunto, ha nella nascita la propria rivelazione, il punto di riferimento terreno della natura spirituale dell’essere.

Lui è un ragazzo bellissimo:/ capelli biondi, lunghi fino alle spalle,/ e due occhi verdi verdi, umidi e lucenti/ come il mare con tanti pesciolini d’oro. (…) Mamma, perché ha il palmo della mano/ trafitto, perché ci mostra il cuore?/ Ma lei non sa che dire, se non:/ è stato per amore, per amore nostro./ E io le dico: ho deciso, non amerò nessuno./ Non voglio che mi strappino/ il cuore ancora tutto vivo dal petto.

Cristo è stato un esempio. Ma lo abbiamo davvero compreso l’epilogo della sua parabola? No. Perché? Perché qualcuno, non sapendo che dire o ripetendo, replicando ciò che – nel medesimo, identico modo – gli era stato inculcato, ci ha convinti che non dando amore si soffre di meno. E forse, anzi senz'altro, è vero. Ma inizia da lì l'abbattimento della nostra unità di persone.
L'innocenza non può capire la malizia, e dunque non può peccare; il peccato originale non è una macchia con la quale veniamo al mondo; è primigenio, primordiale in quanto si perpetua – passando di generazione in generazione – come un retaggio, e, proprio per questo ce lo portiamo dietro.
Adamo ed Eva sono tutti gli uomini e tutte le donne; non una coppia che disubbidisce ma, simbolicamente, un insieme che sceglie, che separa. Non c’è un frutto proibito (quale Dio vieterebbe alle sue creature di mangiare i prodotti che la terra fornisce?). C’è, invece, il serpente – di nuovo, simbolico – che mette confusione, che spinge a farci credere nella nostra infallibile capacità di discernere cos’è il bene da cos’è il male, facendo leva sulla tracotanza di quella che può essere definita la più peculiare delle qualità umane: la ragione (nonostante si possa discutere – ma non è questa la sede – sull’esistenza di una sola forma d’intelligenza).
Sta di fatto che, almeno per noi, la facoltà raziocinante si rivela indiscutibilmente un’arma a doppio taglio, che ci ha portato a risultati straordinari in campo tecnico e scientifico quanto a disastrose conseguenze in ambiti metafisici e spirituali, con pericolosi e ripetuti errori nella condotta morale del nostro vivere quotidiano.
Ma torniamo ai versi, ai racconti che Franca non tira fuori dal cassetto della memoria bensì dalla nicchia più recondita dell’anima, da quella bomboniera segreta nella quale li ha custoditi selezionandoli, passandoli al setaccio, al cribro che separa le arene dall’oro.

Sul fondo, ecco allora un lustreggiare di piccole pepite che, ancora bagnate dalle lacrime del fiume della vita, riprendono a brillare. Ed è la madre, di nuovo, a scucire e ricucire il cordone ombelicale:

Fu allora che mi disse vergognosa/ la madre, guardandomi sottecchi:/ essere donna è un’antica colpa/ che si sconta con questo ruscellare/ che si spande tra le sponde delle cosce,

Perché, perché, perché dev'essere una colpa? E per di più antica. È il ruscello più puro di tutti i ruscelli del mondo quello. È la vera verginità di Maria.

Ma io mi portavo addosso con fierezza/ quel tiepido di cellule sfaldate/ come un uscire dal grembo di me stessa/ a piccoli singulti umidi e rossi, (…) E poi mi fiutavo, sì, mi fiutavo,/ come una selvatica bestiola ferita/ che finalmente sa qual è l’odore/ che così tanto inebria il cane cacciatore.

Ho sempre sostenuto che una sana e selvaggia ribellione contrassegna la scrittura della Alaimo, e mai come in questa prova ella ne dà dimostrazione. Il titolo, sacro cuore – per l’adozione del quale ringrazia l’amica Daita Martinez – ne è, fin dall’inizio, riprova. Tutti, forse, si aspettavano le iniziali, sia dell’una che dell’altra parola, in maiuscolo; invece no: minuscola è la sacralità, e piccolo il cuore che pulsa dentro il torace dei bambini ma scandito, ritmato e costante il suo battito. E puro il sangue che viene messo in circolo.
Gli anni passano e Franca vede, nella semioscurità dell’ingresso del palazzo in cui abita, un giovane mordicchiare fremente i seni di una ragazza; ripensa alle parole del padre che, accorgendosi dello sviluppo di lei, l’aveva avvisata:

St’accura, figghia mia,/ all’ òmini ‘un cci dari cuntu/ oramai ‘un si cchiù ‘na picciridda.

mentre sente, “sotto i seni cresciuti come pani”, il cuore fare trambusto e palpitare. E il padre stesso la fa sobbalzare quando – chiusa in camera, nuda davanti allo specchio che si chiede: “tutto qui…il segreto? ” – le intima di uscire perché è pronto da mangiare.

La trasformazione, il cambiamento anziché produrre gioiosa curiosità e recare emozioni, inebriamento tramuta in un incendio che riduce in cenere l’innocenza. Se, da una parte, questo è fisiologico, dall’altra è innaturale.
Voglio dire: è vero – come recita l’esergo che l’autrice ha posto in testa alla silloge – che “C’è un comandamento non scritto che s’intreccia al nostro pianto (ed) è spaventoso parlarne in questa vita. ” ma altresì fondato è ritenere che esiste un altro precetto (anch’esso non scritto e neanche, il più delle volte, consapevolmente desiderato) cui si obbedisce unicamente in nome di una consuetudine passivamente accettata. A mo’ d’esempio: giunge l’ora del fidanzamento ufficiale; lui e lei – “sorvegliati come due reclusi” – trovano il modo di appartarsi; allarmata perviene loro la voce della madre che li cerca e non li trova.

Il tempo di sistemare il cuore,/ i costumi, i capelli, il respiro,/ e mano nella mano/ con un sorriso vittorioso,/dicemmo: eravamo al bar/ a bere una gazzosa.

Domandiamocelo: è più riprovevole dire una bugia per amore o essere costretti a mentire per paura?
La risposta sembrerebbe scontata – e lo è in fondo – ma ci sono altre considerazioni da fare: la Nostra non si accontenta d’ascrivere alle convenzioni sociali la colpa del malessere in cui si sente attanagliata; desidera andare oltre, scavare nella profondità, cercare di capire quale o quali altri elementi possono concorrere al non pieno godimento della sua crescita umana e, soprattutto, femminile.
E c’è un testo molto indicativo in tal senso (incluso nella sezione L’unicorno) che dà la stura a riflessioni di tipo gnoseologico e immanentistico di non semplice ma costruttiva decifrazione:

Si chinò su di me,/ mi infilò nella rosa del sesso/ il suo corno./ Gridai forte/ perché altrimenti sarei morta./ Il cuore non sopporta/ ciò che si approssima/ al tremendo della divinità.

È dunque bestiale la divinità? Sì, lo è. È il nostro cuore che non sopporta di specchiarsi nella verità: ha paura di gridare ma è solo gridando che ci si sente vivi.
Sono versi molto importanti, fondamentali: Franca non vuole morire, e allora urla per esorcizzare il “tremendo della divinità”; allo stesso modo in cui, sulla croce, Gesù esclama “Elì Elì lemà sabactàni”: una preghiera, non un’imprecazione.
Ascoltiamo, ascoltiamo ancora cos’ha da dirci per quanto concerne la tentazione, e facciamone tesoro:

Un angelo tentatore/ mi ha ordinato di peccare./ Mi ha detto che l’amore/ giustifica se stesso./ Adesso non ho più paura/ quando sento lievitare il desiderio/ oltre la decenza.

Chi ha stabilito quale è la soglia che separa la decenza dall’indecenza? Ancora separazione. Di certo non Dio che, già prima della nostra nascita, conosce il nostro vitale bisogno d’amore.
Può dire altrettanto il prete che la confessa “al di là della grata” e vuole sapere cosa fa quando è sola con il fidanzato? E commette sacrilegio lei, che non gli dice la verità?
Tuttavia, il tempo trascorre e, come in una clessidra, la sabbia dell’innocenza lascia vuota l’ampolla in cui si trovava e cade, per gravità, nel globo inferiore, dove sarà destinata a restare – per ciò che ci è dato sapere ma non necessariamente credere – per sempre.
Ma – l’ho già detto – Franca è una ribelle, ed è sempre attraverso un’evasione che passa la conquista della libertà:

Ti chiedo la beatitudine./ Se non apri, butterò giù gli stipiti./ Non voglio altro che essere asciugata/ dal calore del tuo giovane corpo,/

Bene, ho iniziato dalla prima e voglio concludere con l’ultima poesia della raccolta:

Ventotto giugno./ I fiori della magnolia/ come lune sui rami./ Il velo da sposa/ sul letto.

I fiori della magnolia sono bianchi come l'abito da sposa ma mentre i primi rilucono al chiarore della luna, il velo, sul letto, non può farlo, non può dire e dare tutta la sua felicità.

Posted

06 Dec 2020

Critica letteraria


Sandro Angelucci



Foto dal web





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