Rosso Sangue: il colore dell'amore

Ho davanti Rosso sangue – di Maria Teresa Infante – un libro di poesia diverso dagli altri, e non tanto per il carattere monografico quanto per la sua peculiarità di assemblare in un tutto armonico versi e prosa, a dimostrazione del fatto che, quando si parla di creatività, i generi letterari non contano.
La premessa si è resa necessaria perché, pur trattandosi di poesie, voglio iniziare a parlarne riportando alcuni passaggi tratti dal monologo conclusivo e dal prologo a firma dell’autrice stessa.
Da “Indignata speciale”: La morte è servita! (Il pensiero come arma salvifica): “[…] Un goccio d’acqua per favore! Acqua, tanta acqua, che cada dal cielo in terra a lavar via l’onta, il dolore, lo sporco. Lo sporco, mio Dio, andrà mai via questo rosso antico? Acqua per favore, il battistero è secco da una vita.



Ci sarà mai tanta acqua a ripulire tutto questo? […] c’è ancora il piscio che avvolge le gambe imbrattate di sangue e sperma, un bene andato a male! Una ricchezza che doveva amare e generare e invece uccide con la sua arroganza, mentre Caino sputa la bile sulle radici del suo stesso ventre. Siete sconvolti vero? Al solo immaginare. […] Pensateci sempre, anche durante le notti serene, quando l’air conditioner rinfresca le vostre coscienze […]
.
E dal proemio: “Rosso è il colore del tramonto, l’amplesso tra cielo e terra. Rosso è il preludio dell’alba […] Scelgo la Vita. Bisogna saper riconoscere il male, per decidere di stare dalla parte dell’Amore.

Non consiste nell’essere partigiani quest’ultima considerazione, al contrario: presuppone che una scelta può essere operata solo quando si conoscono le opzioni, altrimenti non sarà mai un libero atto di volontà e, soprattutto, si andrebbe incontro al serio rischio di sbagliare.
Qui, questo pericolo non si corre; e non si corre per una ragione ben precisa: fin dall’inizio, la Nostra, dimostra – parafrasandola – di averlo saputo ben individuare il male, ciò che nuoce e attenta alla sanità ed all’integrità morale del genere umano.
Come detto in precedenza, l’opera risulta essere segnatamente monografica, nel senso che si occupa della violenza di genere (in aumento e sempre più frequente al giorno d’oggi) e consiste in questo, nel caso specifico, il riconoscimento del male che porta alla scelta consapevole e non erronea del bene. Attraverso le esperienze drammatiche di altre donne la Infante vive il dolore, immedesimandosi e operandone la catarsi poetica.




È quindi giunto il momento di entrare nei suoi versi principiando dal testo di pag. 43 che, integralmente, intendo riportare: Il bacio

Dammi un bacio
Perché ritorni il tempo delle mie calze a velo/ quando la mano osava e il cuore lacrimava/ per riportarmi a te, l’inopinato stralcio/ ai margini di fogli rinchiusi nel cassetto.
Dammi un bacio
io te ne ho dati cento/ per farti innamorare della mia bocca amara/ che sa di terra, vino e melograno acerbo/ e sentirai il sapore del pane che ho mangiato.
Dammi un bacio
magari sarà amore, quando ti avrò incontrato.


Questa poesia contiene – in almeno due (se non tre) dei suoi passaggi – il concentrato dell’opera intera. Uno è quello nel quale, a colei cui viene data voce (parlando in prima persona) si fa dire: Perché ritorni il tempo delle mie calze a velo/ quando la mano osava e il cuore lacrimava/ …/ Dammi un bacio: come dichiarare che se lui saprà essere dolce, saprà essere uomo, lei si svelerà, sarà pronta a svelarsi di nuovo e a dargliene altri cento, di baci, come quelli che gli ha già dato per farlo innamorare. E, allora, quasi implorandolo e auspicandosi possa davvero essere così, ribadisce nello straordinario distico finale: Dammi un bacio/ magari sarà amore, quando ti avrò incontrato.
Definisco eccellente questa strofa per la scelta del tempo verbale: quel “ti avrò” è esaustivo, fa comprendere tutto, tutto quanto c’è da capire. Il futuro deve ancora avvenire; l’incontro, il vero incontro non c’è mai stato ed un semplice bacio può cancellare in un solo colpo la freddezza, l’indifferenza facendosi rivelatore d’amore, del vero amore, estesamente inteso.
Bisogna prima farsi acqua per sentirsi fiume: è l’acqua, che nasce dalla sorgente e che scorre lungo le sponde, che trasporta con sé ogni fragranza: Ho sceso il fiume/ Non senti il mio profumo?/…/ Ho sceso il fiume / ma tu non puoi sentirmi. (da “Sentimi”, pag. 130).
Perché non può sentirla? Chiediamocelo? Ma perché non è stato in grado di essere acqua, perché è impossibile riuscirci per chi non ha mai pensato che l’acqua non serve soltanto a togliere la sete ma – di più, molto di più – a scrollarsi di dosso tutta la polvere che si è depositata, nel corso degli anni, sulla pelle dell’anima soffocandone il respiro.

Disegnavo aquiloni mi han rubato i colori – scrive la poetessa in chiusa ad un altro dei suoi testi – ribadendo e rafforzando il concetto. Pensiero, come ho già asserito, preponderante e guida della raccolta ma anche di una ben precisa ed inequivocabile Weltanschauung.
È questo il motivo che mi ha spinto a prendere in esame i versi citati: sono – gli stessi – esplicativi al massimo, anche se non i soli ma, nel ristretto spazio di una recensione, non se ne possono aggiungere molti altri; anche perché non sarebbe giusto togliere al lettore la bellezza di scoprirli da sé.
Ritenendo, pertanto, di aver fornito il mio apporto alla fruizione e – ripeto – soprattutto alla focalizzazione di una non semplicistica ma complessa visione della vita e del mondo, desidero concludere cedendo l’ultima parola alla poesia così come in abbrivo l’ho lasciata alla prosa Germogli:

Tra i solchi della mia terra/ accolsi/ le radici delle tue braccia/ in esse riversai i frutti miei/ più rossi/ spandendo il limo di un amore nuovo./ Germoglio fu di pane.


Posted

07 Jan 2021

Critica letteraria


Sandro Angelucci



Foto di Maria Teresa Infante





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