Il concerto di via Vitelli e altri ricordi

Scritto da Fernando Anzovino, è un libro di racconti e poesie sul suo paese natio, Santa Croce del Sannio, un prezioso contributo alla preservazione del patrimonio culturale santacrocese

La dedica in prima pagina risale al 13 maggio del 2019 a nome di Fernando Anzovino che, definirlo uomo di cultura e sapere, sarebbe privarlo delle innate capacità intellettuali, affinate negli anni in teoria e pratica – studi, opere e misericordia – forte delle sue propensioni artistiche e l’apertura al nuovo con la costante curiosità dei bambini, nonostante la data di nascita segni il 1943.
Dal primo vagito in poi è stato spettatore attento delle vicissitudini umane, prima relegate agli amati luoghi di appartenenza, poi con lo sguardo oltre la “sua” Santa Croce del Sannio in cui la vita scorreva lenta ma operosa, laboriosa e gaudente, in cui col poco si imbastiva il pane all’esistenza. Ed è tra i suoi abitanti che prende vita Il concerto di via Vitelli – e altri ricordi opera del Nostro, pubblicata il 9 giugno del 2018.




A distanza di tre anni da quella dedica in cui, con l’umiltà che lo rappresenta confida nella mia “indulgenza di lettrice”, mi rendo conto del perché oggi quelle melodie mi giungono così sonore, sfuggite alla corrosione del tempo e dello spazio, agli impedimenti che sempre hanno rimandato il mio bisogno di parlarne. Una esigenza personale, impellente di dare vita a ciò che sento, un piacere per il mio ego questa rilettura svincolata da urgenze e impellenze.

La tipicità di Fernando Anzovino è nell’originalità narrante che, attraverso uno stile linguistico amabile e fluido, non si limita a presentarci il suo paese natìo in nuce – così come tiene a precisare anche il prefatore, prof. Carmine Radassao: Sbaglia però chi veda in questa serie di racconti solamente il tributo, tanto amorevole, dotto e circostanziato di F. Anzovino al suo pittoresco paese nativo. Un altro filo attraversa la serie di “istantanee”...
L’opera, infatti, ci accompagna alla comprensione in toto, oserei dire quasi psicologica di una intera comunità, di un aggregato di anime finemente caratterizzate individualmente ma legate da un comune modus vivendi inscindibile dal rapporto con i luoghi e il contesto storico (vedi Psicologia dei popoli di Wundt di cui Enrico Marco Cipollini nel suo “Wilhelm Wundt: il problema del metodo.” (vedi blog OceanoNews e WikiPedia)

Un excursus antropologico spontaneo e naturale che ci trasporta, hic et nunc, in un microcosmo, un luogo bastante a se stesso privo di orpelli, con i suoi riti tra il sacro e il profano, le sagre e le fiere, le tradizioni, il folklore, i diversi percorsi esistenziali di destini che si incrociano e si vedono andar via, con i vicoli che si animano e muoiono ogni notte, quasi che non debba esserci un risveglio per assistere poi al miracolo del giorno come un mistero dell’universo. Perché in questo libro si narra del grande dono che l’uomo possa mai aver ricevuto e del grazie elevato al cielo per tanta magnificenza.
In quest’opera la spiritualità si taglia come una fetta di pane, in cui ogni gesto e il rituale dell’esistenza dimezzano il divario tra materia e divino.
Nell’intera stesura sembra aleggiare la mano amorevole della Divina Provvidenza in cui, a differenza della concezione manzoniana, l’uomo incalza e partecipa attivamente allo sviluppo naturale degli eventi, è l’individuo in quanto persona ad andare alla ricerca continua del sacro.

Nulla è superfluo tra gli abitanti del paese, tutto è strettamente necessario. Anche quando il progresso arreca maggiore benessere – e il grammofono lascia il posto alla televisione – nessuno sembra avere dimenticato l’uomo che è stato, il passato che l’ha plasmato, gli eventi trascorsi, il profumo dei campi, i muri scrostati e le stanze dal mobilio scarno, l’uva pestata a piedi nudi dai giovinetti, l’assaggio del mosto liquoroso offerto ai bimbi come fosse miele, il vino in compagnia anche quando è scarso ma sempre abbastanza per condividerlo, una sorta di miracolo di Cana affinché la gioia non diventi mestizia.
Ed è ciò che trasforma un manipolo di abitanti in una comunità viva e pulsante impegnata tra la sopravvivenza e il dì di festa con richiami leopardiani all’attesa, al ritorno dalle campagne, alle vecchiette e ai ragazzi festosi, alla piazza, alla squilla che suona e al vestito della domenica.
“Homo mundus minor”: l’uomo è un mondo in miniatura.
(Anicio Manlio Severino Boezio)


Tra le 215 pagine, corredate da singolari foto di concessione, si snodano i ricordi del Nostro – di prima mano o registrati mentalmente – con estrema chiarezza; annotazioni, datazioni, memorie e dettagli di una sorprendente lucidità.
Al pari di una rappresentazione scenica prendono vita i personaggi e animano le case, le chiese, le strade con vicende di semplice quotidianità ma intessute di genuine emozioni che giungono intatte al lettore.
Appercezioni sine qua non, tra la fatica del “tirare avanti” in cui ogni elemento, animato o inanimato, è strettamente connesso all’altro per affrontare il presente, non interpretato ma vissuto intimamente. Non l’individuo, in quanto mero agglomerato di atomi, ma anime di uomini, donne, bambini diventano note su uno spartito e ancora, lavoratori dalle più disparate estrazioni sociali, il sarto/barbiere, il carabiniere, spose e giovincelle, preti e la loro croce, fedeli e miscredenti sono le crome, biscrome orchestrate in un ritmo primordiale, sincopato e arcano.
Il concerto si spande nell’aria, fino al campanile che chiama a raccolta i paesani, tra il battere del ciabattino, le dita incallite dello stagnino, il campanaro, le stoviglie della massaia, gli zoccoli o l’abbaiare dei cani, i giochi con le risa e i pianti dei bambini, lo scorrere d’acqua delle fontane vetuste e ‘zi Giuditta con i suoi nove figli già al lavoro dopo poche ore dall’ultimo parto perché “le bocche da sfamare erano tante.”

Nulla è sfuggito allo sguardo accorto del piccolo Fernando e crescendo ha preservato con cura ogni respiro vitale di via Vitelli, fino a dargli forma.
E così anche il prof. Pasquale Panella si esprime sul Nostro:
L’autore, recuperando testimonianze, foto, immagini, racconti preserva dall’oblio e tramanda alle generazioni future una genuina storia di una comunità; riesce a cogliere l’anima del nostro paese! La storia non è solo avvenimenti bellici, è anche la quotidianità di un popolo.

Ciò che colpisce in questa opera di nostrana sostanza (dal latino substantia, realtà che sottostà – al greco ὐποκείμενον, realtà stabile e costante) è l’assenza di malinconia o la saudade del nostalgico rimpianto perché Fernando narra la gioia di un sereno passato, guadagnato e conquistato passo dopo passo, felice di averlo assaporato, riscattato e lo rinnova, rigenera riportandolo in vita a testimonianza che siamo i luoghi, le pietre, l’acqua, il cielo e le stelle, il sogno dei dormienti, l’incanto del risveglio, l’aria respirata.
Ogni evento, sensazione, sentimento ha forgiato le esistenze autoctone, tutto è appartenenza, impastata a pelle, lievitata nel tempo. Così come gli insegnamenti – nozioni e vivere – della maestra Maria, dei padri, delle madri, le orazioni e le omelie di Don Angelo, le Via Crucis e i Venerdì Santo, le benedizioni e le estreme unzioni, le manchevolezze, il peccato e il perdono.
E la pasta con le cozze, consumata alle tre di notte con Don Angelo e amicizie che non hanno solo riempito le pance semivuote ma le anime, e hanno lasciato impronte indelebili.

Nessuna creatura è stata dimenticata, finanche il somarello, con il basto carico di biada o paglia, ha contribuito a scaldare con il suo fiato le pagine di quest’opera che deve la bellezza a un Autore che ha cantato la sua terra, le radici che lo tengono ancorato all’amore per la vita e ai suoi affetti, in armonia con l’intera orchestra che lo ha scortato nel viaggio, fino ai nostri giorni.
Il concerto di via Vitelli continuerà a diffondere sinfonie esistenziali.
Dopo i tanti personaggi che la passione per il teatro gli ha permesso di portare in scena, in questo volume, Fernando Anzovino ha interpretato la vita.
Non un romanzo, non un diario di bordo ma un lascito testamentario, un pegno d’amore all’intera comunità di Santa Croce del Sannio.

Un uomo è tale solo quando le sue orme continueranno a essere calcate
(Dal romanzo Il richiamo, Oceano Edizioni – Maria Teresa Infante)

Posted

04 Aug 2022

Critica letteraria


Maria Teresa Infante La Marca



foto di Fernando Anzovino





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