Eliza Macadan: Pianti Piano

“Sono i pensieri a cercare le parole, prendono quelle che trovano più adatte, è come la scelta dei mezzi di trasporto per farsi un viaggio.”

Mi metto a nudo davanti alla Parola.
Questi pianti sommessi, nel perenne considerare e nel rilancio comunicativo, aprono continuamente nuove possibilità sulle cose morte e su ciò che ha limite, la dura esperienza dell’imparare il transito dalla difficoltà all’opportunità”, questo scrive Amedeo Anelli presentando la silloge Pianti Piano di Eliza Macadan.



L’autrice è nata a Bucarest, ma compone in diverse lingue: romeno, francese e italiano; ha pubblicato diverse raccolte che hanno avuto molti riconoscimenti tra cui il Premio “Léon Gabriel Gros” nel 2014 per Au Nord de la Parole.

Il titolo sembra ricordare una sofferenza quasi accennata o provata in silenzio, un pianto sommesso e nascosto che guarda al di là del dolore e vede già la speranza affacciarsi da un nuovo mondo: “Cosa c’è di là? Una foresta un fiume un paese/ e un’altra lingua”.
Lo stile è libero, la punteggiatura quasi assente, il verso non ha vincoli di sillaba e si trasforma in un gioco di parole che sembrano essere una l’opposto dell’altra, con un ritmo musicale che incalza. Inoltre, l’autrice usa dei termini inglesi che si riferiscono alle nuove tecnologie, che apparentemente stridono con l’idea di poesia, ma in realtà inquadrano i componimenti nel filone postmoderno: libero, non strutturato, che gioca con il senso delle parole, dinamico nel suo andamento, nella sua evoluzione fino ad un climax che porta ad una fine risolutiva, dalla quale, in questo caso, la poetessa è in grado di distaccarsi e vederne il potere catartico. “Si procrea senza semi/ sta cambiando il dna/ non c’è bisogno di corpi” […] “indifferente satellite/ occhio vetrato/ dove le voglie/ non arrivano mai” […] “non ho una ninnananna/ da cantare ai nipoti/ lascio loro l’attesa che/ meglio ho imparato di tutto”.


I termini “mani” e “palmi” ricorrono nelle liriche quattordici volte ed il termine “parola” quindici volte. “Una mano tesa fruga nella parola” […] “il fuoco nelle mie parole/ ma ora sei qui/ la mia mano è l’ombra/ della tua“” […] “Giochi di parole al buio/ mentre da ogni dentro/ lampi neri si disputano/ un trofeo di porcellana cinese” […] “Mi metto a nudo davanti alla Parola” [...] mi metto nuda e la Parola/ basta a se stessa”. La parola, quasi incisa nella carta, viene scritta con la lettera maiuscola per enfatizzarne la funzione, così importante e necessaria in questo momento storico, in cui troppo spesso si dimentica, non tanto l’importanza di comunicare ed esprimersi, quanto di mettersi in ascolto dell’altro.

Posted

25 Aug 2020

Critica letteraria


Manuela Mazzola



Foto di Eliza Macadan





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