Il ciuccio di San Potito

Una leggenda da cui trae origine la festa patronale ad Ascoli Satriano che unisce la grande devozione ad iniziative folkloristiche che trovano le loro origini nella tradizione locale

La Daunia è traboccante di leggende antichissime. Una di queste, importantissima, è “Il ciuccio di San Potito”. Un mulattiere che da Tricarico andava ad Ascoli Satriano, sul tratturo Palmo-Palazzo d’Ascoli-Foggia e il torrente Carapelle, si vide sprofondare un asino pieno di derrate in una mefite (sorgente solfurea rappresentante da dea Mefite, zona sacra, particolarmente per gli Irpini).
Disperato, visto che l’asino era morto, gli tolse la pelle, ché aveva un qualche valore. Dopo un po’ di cammino sentì ragliare l’asino morto alle sue spalle. Si girò e constatò che l’asino era vivo, anche se tutto spellato. Felice, gli riattacco la pelle, ma lo fece al rovescio: la coda in avanti e la testa indietro.

L’asino, così conciato, lo guidò nuovamente sulla mefite, dove era risorto miracolosamente.
Scavando e pregando San Potito, che si diceva martirizzato in quella località, l’uomo vide riemergere il corpo di un giovane, intatto. Sicuro di aver scoperto il corpo dell’adolescente San Potito, il mulattiere compose degnamente le sacre spoglie e le portò a Tricarico e per commemorare l’evento prodigioso, gli ascolani si recavano in pellegrinaggio sul luogo del martirio. Era, quindi, il corpo di San Potito, patrono della città di Ascoli Satriano (un paese omonimo lo ritroviamo in India: Askoli).
A livello mitico-simbolico era un luogo di morte e rinascita. Alcuni studiosi hanno indicato la Mefite come porta dell’Ade (in entrata la strada di morte, in uscita strada di resurrezione).

Potito (Potitus), adolescente, apparteneva ad una ricca famiglia pagana, così come ci tramanda uno scritto del IX secolo. Le fonti su questo santo parlano di diversi miracoli, pur non verificabili storicamente: in particolare avrebbe liberato dal diavolo la figlia dell’imperatore Antonino Pio, che prima lo diede in pasto ai leoni, che di fronte a lui divennero docili, poi lo gettò nell’olio bollente, ma Potito ne uscì indenne. Fu così che gli fece tagliare la testa a causa della sua fede. (tratto da Wikipedia)

La testa tagliata era un codice cristiano pagano per indicare l’inverno-inferno senza luce e quindi senza occhi.
Satriano, e i due paesi vicini di Stornara e Stornarella hanno in sé l’etimo di Saturno, il dio che con i Saturnali anticipava l’anno nuovo. Ricordano l’etimo “satiri” del corteo di Dioniso, tanto più che il Sileno, compagno del corteo orgiastico, possedeva l’asino come cavalcatura. Dioniso, come Saturno, apriva la porta al sole dell’alba e della primavera. Ascoli si trova vicino al mare e quindi rappresentava una porta del sole.

La Cattedrale di Ascoli Satriano ospita il mezzo busto di San Potito, patrono della città, in argento con occhi di diamante.
Il 14 di Gennaio, la pesante e preziosa portantina viene condotta, da 15 uomini alla volta, per i vicoli del borgo vecchio tra ripide discese e scalinate anguste






La Mefite era una dea rappresentazione della Madre Terra, che, con il suo puzzolente ribollire ed il riportare su e già materiale solforoso, ricordava la morte e la rinascita del Sole.
Essa riporta in vita l’asino, rappresentazione del Seth egizio, ma anche del Saturno greco. L’asino resuscitato non rappresentava più l’inverno da uccidere, ma l’alba e la primavera perché la sua pelle era appiccicata al contrario e quindi rappresentava la rinascita del sole. Diventava, quindi, rappresentazione di Horo o se vogliamo di Apollo. Questa dinamica ci riporta al “Rito della Pelle” egizio, ma anche dauno, di morte e rinascita, che ha dato il nome al fiume Carapelle (fiume dei Cinque Reali Siti) e alla zona Carabelle di Vieste.
I Potizii era sacerdoti greco-romani di Ercole (ipostasi del Sole), che praticavano sacrifici all’eroe divino all’alba e al tramonto. Da essi, cioè da Ercole, deriva il santo cristiano San Potito (in dialetto “Petìte”, che si aggancia al Petit francese: piccolo, con riferimento al Sole bambino).

Ad Ascoli, il 14 gennaio, bruciano con dei petardi, un asino fantoccio, nel senso che bruciano simbolicamente un simulacro dell’inverno (l’asino era uno dei totem della stagione fredda). Vedete cosa può nascondere una semplice leggenda?
Nel prossimo articolo vi intratterrò con una leggenda legata ugualmente all’asino e all’inverno: San Camillo e la Valle dell’Inferno.

Posted

11 May 2021

Daunia e Puglia tra storia e tradizioni


Angelo Capozzi



Foto dal web





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