Trecce magiche ai cavalli


In tempi lontani era consuetudine per contadini, carrettieri o chiunque avesse un cavallo, trovare al mattino presto qualcuno con le trecce alla criniera o, più raramente, alla coda.
Non poteva essere sciolta o tagliata perché, da credenza popolare, era stata fatta dall’Uria, lo spirito protettore della casa, che lo aveva scelto come preferito (in altre tradizioni si parla di streghe e scazzamurelli che abbellivano il cavallo in quel modo).




Ci viene subito in mente Demetra, antica divinità protettrice di Foggia, raffigurata tra le strade del centro storico con la testa a forma di cavallo. Da qui il passo è breve. L’Uria non poteva che essere la stessa Demetra, accoppiatasi con lo stallone Poseidone sotto le vesti di una giumenta. Tra l’atro Demetra non solo era la protettrice della città, ma anche del focolare domestico proprio come l’Uria (vecchia, pacchiana-giovane, scazzamurello-giovane).
Fare la treccia ai cavalli tuttavia, era una forma di abbellimento abbastanza frequente e non associata solo l’Uria. Era infatti, una consuetudine di tutti quelli che avevano cavalli. Spesso si vedevano girare per Foggia calessini con pony dalla criniera bionda e piena di trecce, di boccoli, di nastri rossi e campanelli. Quelle realizzate di notte tuttavia, erano trecce speciali, poiché fatte dallo spirito protettore della casa su un cavallo particolarmente bello che proteggeva. Gli anziani usavano dire, a proposito della bellezza del cavallo, “L’àve pettàte Sànde Lùke!” (L’ha pettinato San Luca)
Il cavallo “trecciato” dall’Uria era sacro, benedetto, vanto del padrone, quindi tenuto in massima considerazione.

La treccia, similmente a quella della donna, rappresentava lo sviluppo in tre fasi della Luna: fase calante-mancante, fase crescente, Luna piena. Il ciclo della donna e del cosmo era: donna sterile, vergine e donna pronta al matrimonio. La treccia era segno di ordine, che si contrapponeva al caos. La donna morigerata si curava i capelli e si faceva le trecce, la donna pronta ad essere moglie in particolari momenti se li scioglieva.
Un riferimento importante era quello dei carrettieri che, a volte, mettevano la treccia di cavallo al carretto: il centrale, il “valanzino”e il “fuori-mano”. La treccia di giumenta si usava per “pesare” il grano col calpestio dei cavalli. Il simbolismo era lo stesso, quello del ciclo ternario del cosmo, della Luna, della donna.

Ho riflettuto a lungo su come fosse possibile questo fenomeno delle trecce, visto che non credevo all’Uria. Ho ipotizzato forme di sonnambulismo del contadino o chi per lui. Per un uomo che viveva tra casa e stalla e che sapeva fare le trecce, non era impossibile poterle realizzare in stato di sonnambulismo. Non ho mai pensato che qualcuno lo facesse volutamente, anche perché avrebbe recato offesa all’Uria: per questo tutti ci credevano. Cristoforo Carrino, un amico veterinario, proprietario di diversi cavalli, diceva che spesso le trecce si formavano da sole. In realtà, la cosa è vera, ma più che di trecce si parla di boccoli serrati.

Il fenomeno andrebbe inquadrato in una visione più ampia: l’uso del cavallo come totem. Arpi era un’antica cittadina della Puglia, allora conosciuta come Argos Hippium, cioè “Argo dei cavalli”, mentre Foggia si chiamava Equotutico, ovvero “Grande Cavallo”. Arpi era famosa per i cavalli, come lo era Equotutico. La fiera dei cavalli di Arpi, probabilmente si teneva a Foggia, cittadina più centrale. Molte altre fiere si tenevano nei paesi di provincia anche con maggiori valenze qualitative e quantitative.
A San Giovanni Rotondo, ad esempio, si vendeva soprattutto la pecora, a Sannicandro la capra, a Troia il maiale. Questo ci fa pensare che molti paesi avevano per totem un animale. I foggiani erano della tribù del Cavallo, a San Giovanni della pecora e così via.

Di animali erano piene le costellazioni, non a caso organizzati dallo “zodiaco”, una via presente anche nelle strade di Foggia (Via Zodiaco), e non mancavano tra esse i cavalli.
Se pensiamo che Demetra rappresentava la triplice dea (Demetra, Persefone e Core), significa che l’animale era l’aspetto della dea e si connotava come femminile, anche se poteva riferirsi a Poseidone-Nettuno. Il cavallo rappresentava la dea e il dio dell’acqua dolce e salata, quell’acqua senza la quale nulla si può.
A Foggia era facile vedere le teste di cavallo abbellire l’ingresso delle case. Per fare una battuta: quando si mangiava una braciola di cavallo (meglio se in cantina), accompagnata da un bicchiere e più di vino, si esclamava: “Questa braciola è divina!”.
Ci sono paesi che rifiutano di mangiare il proprio totem, Foggia tuttavia non è tra questi. Sono cresciuto a carne di cavallo! Per noi foggiani ‘a chiànghe (la macelleria) è quella equina (‘u scorciacavàlle). I terrazzani erano dei grandi estimatori della lingua di cavallo fatta a braciola. Quando moriva un cavallo nella provincia di Foggia, lo lasciavano dove si trovava, poiché era un prodotto da smaltire; arrivavano i terrazzani armati di coltello e lo sfilettavano.
La nostra storia in qualche modo coincide con la divinità rappresentata dal cavallo e è per questo che probabilmente si voleva sottolineare con la tradizione delle trecce sacre.

Posted

28 Dec 2021

Daunia e Puglia tra storia e tradizioni


Angelo Capozzi



Foto dal web





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