Immanuel Kant

Un uomo di cattedra che fu un grande rivoluzionario

Immanuel Kant è un filosofo illuminista tedesco nato nel 1724 da una modesta famiglia di origini scozzesi di forti convinzioni religiose a carattere pietistico che incise molto sulla formazione del suo carattere.
Il Pietismo era una corrente del luteranesimo caratterizzata da una pratica morale fortemente religiosa fondata dal teologo tedesco Philippo Jakob Spenser (1635-1705). Quarto di undici figli (con i fratelli non ebbe un grande rapporto) il filosofo ebbe un’educazione religiosa impartitagli dalla madre, della quale scrive: “Non dimenticherò mai mia madre, perché fu proprio essa ad impiantare e nutrire il primo germe di bene in me”.
La sua vita fu dedicata interamente alle attività intellettuali. Inizialmente si dedicò agli studi scientifici; successivamente a quelli umanistici, ma mostrò grande interesse per tutti i campi dello scibile umano. Fu precettore privato in alcune case patrizie e in seguito fu professore ordinario di Logica e Metafisica all’università della sua città fino alla sua morte.



Condusse un sistema di vita molto metodico e abitudinario: si dice che la gente regolava gli orologi sulla sua passeggiata quotidiana. Il suo indirizzo filosofico è detto Criticismo in quanto il suo intento è quello di criticare e verificare la validità di quanto la ragione umana afferma nel campo della conoscenza. Egli asserisce: “Ogni interesse della mia ragione (tanto quello speculativo quanto quello pratico) si concentra nelle tre domande: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa ho diritto di sapere?”. Anche in campo religioso le sue opinioni si fondavano sul razionalismo piuttosto che sulla rivelazione. Le sue opere le più importanti sono la Critica della Ragion pura, la Critica della Ragion pratica e la Critica del giudizio.
Per Kant non vi è dubbio che ogni nostro conoscere comincia dall’esperienza. La conoscenza, secondo lui, è un contesto di giudizi. Esprimere un giudizio per Kant significa attribuire una certa proprietà o concetto a un dato individuo o soggetto. Questi giudizi, sempre secondo Kant, possono essere analitici o sintetici.

È analitico un giudizio quando in esso viene attribuito al soggetto una qualità implicita nel concetto di questo, (es. il triangolo ha tre angoli); un giudizio analitico praticamente non amplia la conoscenza umana e ha solo la funzione discorsiva e chiarificatrice. Tutti i giudizi analitici perciò sono “a priori”, nel senso che non derivano da una verifica empirica e sono, dunque, universali, ma non estensivi della conoscenza perché in essi il predicato non aggiunge nulla al soggetto.

Nei giudizi sintetici, invece, viene attribuito al soggetto una qualità nuova non desumibile dal concetto di esso (es.: i corpi sono pesanti); questa affermazione è ricavata dall’esperienza. I giudizi sintetici sono dunque “a posteriori” e arricchiscono la nostra conoscenza. Kant ritiene tuttavia che esistono giudizi che sono sintetici, però “a priori”: sintetici perché ci permettono di ampliare le nostre conoscenze; a priori perché non sono derivati dall’esperienza, ma possono essere conosciuti per via razionale. Esempio di giudizio sintetico a priori: la somma 7+ 5 = 12; ora nella semplice unificazione dei due numeri 7 e 5 non c’è ancora nulla che dica quale sarà il numero che risulta dalla loro somma e quali saranno le sue caratteristiche.

Per Kant sono giudizi sintetici a priori i giudizi fondamentali delle scienze (matematica e fisica); le leggi matematiche come il Teorema di Pitagora, fisiche come il principio d’inerzia; esse sono leggi universali e necessarie; aumentano la nostra conoscenza, eppure possiamo dimostrarne la verità senza guardare all’esperienza. Secondo Kant praticamente la conoscenza nasce da una sintesi di esperienza e di concetti: senza i sensi noi non ci accorgeremmo di nessun oggetto, ma senza l’intelletto noi non ci formeremmo nessun concetto di quell’oggetto. Sensibilità e intelletto interagiscono tra di loro.

Nella Critica della Ragion pratica, scritta nel 1788, Kant studia le condizioni del mondo morale; prende praticamente in esame il problema della libertà e della morale ed espone anche la sua stessa dottrina morale. La morale per Kant, deve essere universale e necessaria, come del resto la conoscenza, ossia deve valere universalmente. Per Kant l’azione morale è un dovere, per cui alla domanda “perché dobbiamo agire moralmente” la risposta è “perché è un dovere”; ci troviamo quindi di fronte all’etica deontologica.
Gli antichi, invece, si rifacevano all’etica eudemonista, che poneva come fine della vita morale la ricerca della felicità (Socrate). L’etica deontologica unisce virtù, bene e dovere ed è quella formulata da Kant. Le regole morali che devono regolare la nostra vita pratica non devono essere influenzate da passioni, impulsi, desideri o interessi, ma dettate direttamente dalla ragione. L’uomo, si sa, vive sempre fra passione e ragione: la passione spinge a soddisfare i propri impulsi, i propri desideri, a conseguire la felicità; la ragione, invece, lo richiama al dovere, alla virtù e diventa un comando, un imperativo.

Possiamo perciò definire un’azione moralmente approvabile a prescindere dal fatto se ottengo o meno un vantaggio per me. Per Kant dunque un’azione è morale solo se e quando può valere per tutti, ossia essere un imperativo universale. Perciò l’agire umano non si può fondare sul conseguimento di scopi, ma deve essere indicato dalla nostra coscienza: l’agire morale è perciò un imperativo categorico che ci comanda: tu devi.

I genitori che amano i propri figli non solo per questo sono persone morali. La morale nasce solo se l’agire scaturisce dalla ragione. Quindi io posso non amare una persona, ma se voglio agire moralmente devo fare ugualmente il suo bene, devo essere imparziale.
L’imperativo categorico è diverso dall’imperativo ipotetico. L’imperativo ipotetico indica i mezzi atti a conseguire un utile, esempio: lo studente che desidera essere promosso deve studiare; l’azione studiare è valida solo se lo studente desidera realmente essere promosso: in caso contrario può benissimo non studiare. Ma perché devo agire moralmente se non ne traggo nessun vantaggio, mentre viceversa potrei fare il mio utile? Kant risponde che chi agisce moralmente non lo fa per il proprio utile, ma perché lo ritiene giusto, lo fa per il dovere.

Kant distingue l’azione in Immorale, Amorale e Morale. L’azione è immorale quando è fatta manifestamente contro la legge morale, esempio: uccidere un uomo per soddisfare un nostro rancore; è amorale, ovvero legale, quando risulta conforme alla morale, ma in realtà è determinata da una nostra inclinazione soggettiva come il piacere, l’utile o l’interesse oggettivo, esempio: salvare un uomo perché è nostro amico; è, infine, morale quando l’azione non solo è compiuta secondo legge, ma è motivata solo dalla legge, esempio: salvare un nostro nemico perché la legge lo comanda. Paradossalmente Kant osserva che un’azione è veramente morale quando è fatto… a malincuore. Il suo motto è: “Agisci sempre ed esclusivamente per amore della legge prescindendo da qualsiasi risultato utile o dannoso”. Sosteneva inoltre: Nessuno Stato può intromettersi con la violenza nella Costituzione e nel Governo di un altro Stato”.

Posted

16 May 2022

Storia e Filosofia


Pasquale Panella



Foto dal web





Programmi in tv oggi
guarda tutti i programmi tv suprogrammi-tv.eu
Ascolta la radio
Rassegna stampa